mercoledì 25 febbraio 2015

Qualcosa di vero





Musica: un amore swift

Tempo fa, Glade si chiedeva come diavolo si faccia a riconoscere qualcosa di vero quanto il primo amore.
Noi donne (per fortuna) siamo oggidì libere di avere storie, di farle finire e ricominciare ed anche di macinare –figurativamente parlando- svariati partner.
Ma come si fa a capire qual è quello “giusto”?
≪Tutte le donne vogliono un bel cavallo!≫ afferma la mianuovamica.
Ma come, come distinguere tra l’ennesimo stallone, il puledro appena svezzato e il purosangue che ci porterà a galoppare nelle praterie del Grande Amore?
Il confronto con il Primo, quello serio, il fidanzato “storico” sembra obbligato, nonché l’unica soluzione. Se non era vero il primo sentimento, provato ad n’età in cui ogni cosa sembrava preziosa come una stella di diamanti sfaccettati, cos’altro può esserlo? E così, dàlli a fare il paragone, a spulciare le serate con i nuovi esemplari equini nella speranza di rintracciare, di nuovo, quel nitrito aitante che ci rimbombava nelle vene quando sentivamo i suoi passi, anni ed anni fa.
Era bello, vero?
Le uniche parole che ci venivano in mente erano PER SEMPRE, PER SEMPRE, e al posto degli occhi avevamo la carta dei Baci Perugina (in un occhio quella esterna, nell’altro la cartina con la frase d’amore).
Era bello, ed era vero, non c’è dubbio.

Ecco due notizie che potrebbero essere d’aiuto.
Uno, era vero ma è passato, e noi siamo diversi dal momento in cui lo abbiamo vissuto. Grazie al cielo. Questo non rende le cose più semplici per quanto riguarda la ricerca di un nuovo amore, ma può almeno staccarci le cartina dei Baci dagli occhi.
Due, tutto è vero, nel momento in cui si vive. Ciò dovrebbe farci esultare e gridare Osanna! (O, come si diceva da bambini, Rosanna!) … perché così abbiamo la certezza di non perdere mai tempo. Ogni storia cui diamo inizio e spazio è reale, e può renderci felici come un vero amore.

Terza ed ultima notizia: il cuore ci avvisa quando è amore. Anche il suo, il suo di lui (eius, e scusate questo flash al liceo classico). Quando i due vanno allo stesso ritmo, il gioco è fatto. Ma solo la testa mette il marchio DOC alla relazione. Della serie: sì, lo amo e sono pronta a decidere di amarlo in futuro e di stargli vicina nel bene e nel male, in ricchezza e in povertà, nella salute e nella malattia, con o senza figli, con o senza lavoro, in casa e per strada e ovunque voglia portarci la vita.
Non serve un matrimonio per celebrare le nozze di un vero amore. Basta sapere che lo si desidera, e accettarlo, ed infine strapparsi il cuore e metterlo in tavola ogni santo giorno.
“Basta”…
La faccio facile.
Guarda caso, però, ho anch’io tante cicatrici sul mio petto, una per ogni volta che ci ho provato.
Non è per niente facile. Ma è quello che voglio.
Riconoscere il vero amore è stata la cosa più intelligente che abbia fatto.
Con l’aiuto della vita, che mi ha smollato l’Archy sulla strada.
Vi auguro la stessa buona stella. Di cioccolato, però: fanculo anche i diamanti.

La cellulite sì, che è per sempre. 

martedì 17 febbraio 2015

No!


C’è un simpatico film con Jim Carrey e Zooey Deschanel in cui un ragazzo solitamente chiuso e svogliato si mette a dire a tutte le attività che gli vengono proposte.
Gli si apre un mondo.
Però, allo stesso tempo, iniziano i guai: dire sempre sì, alla cieca, ha i suoi lati negativi.
Per tutti. Ed ancor più per noi donne, che siamo state abituate a rispondere affermativamente pressoché in ogni situazione.

Ma perché? Perché dovremmo essere sempre d’accordo? Chi ha deciso che altri possono decidere per noi?
Io dico no.
E che sia un no bello forte, fermo, una sillaba che esploda già nella N e che sia definitiva nella potenza spalancata della O!
Donne, quello che vi posso offrire oggi è semplicemente questo: un bel rifiuto deciso nei confronti di tutto ciò che non vi va, non vi sta bene, non volete fare, non vi quadra, non vi piace, non accettate né tollerate, né approvate per qualsiasi motivo.

Considero solo una circostanza in cui pronunciare la parola no suonerebbe  un tantinello strano, ma, si sa, in quell’ambito ci sono tante sfumature e magari a uno piace farlo strano, per l’appunto.

mercoledì 11 febbraio 2015

Oggi sono felice


Oggi, nel giorno del mio twentinovesimo compleanno, mi fanno compagnia degli amici di vecchia data: Vasco, un buon libro e il raffreddore.
Non sarà un inizio maestoso, ma è comunque un inizio.
Questa è la mia vita, al momento, e non me la sento di sporcarla con parole lamentose, non oggi. Però non voglio nemmeno inzuccherarla.
Oggi, come sempre, ciò che conta è il momento presente, la realtà, ed io non posso far altro che raccontarla.
Leopardi scriveva nel suo Zabaglione che non c’è nulla come una ragazza di diciotto anni, e ne aveva ben donde (cit. Yaia). Una donna così giovane vive di una bellezza stupefatta perfino di se stessa.
A trent’anni, non sei più stupefatta di niente. Ti girano solo le balle.

Programma della giornata: forse vado dalla parrucchiera con un buono omaggio. Poi cerco di farmi assumere in un posto che mi piace.  Un  saluto alla donna che mi ha messo al mondo in un pomeriggio pieno di neve -ne approfitto anche per coccolare il mio cane di peluches.
Qualche ora di lavoro.
Note positive: pranzo con l’amore della mia vita, che furbescamente ho sposato, e aperitivo con le solite note (positive, appunto).
Bella, la vita.
Ma veramente.
L’importante è non pensare al passato, quel periodo in cui si era protetti dalla routine della scuola e del sabato sera, o al futuro, perché tanto è nebbia. Passato e futuro non esistono. Esiste solo il presente, e se oggi sono felice lo devo a questa strana, inebriante verità.
Oggi sono una donna che, nel giorno del compleanno, sta facendo qualcosa che le piace, scrivere, e che sta parlando di persone e cose che ama. Non vedo un modo migliore per celebrare ventinove anni di vita.
Niente bilanci, niente aspettative. Niente pressioni, nessun senso di colpa o rimpianto. Non oggi.
La storia della mia vita non può contenere troppe lacrime, troppe paure. Ogni giorno dovrò cercare di metterci dentro cose diverse, belle e buone. Quindi, se volete farmi un regalo, raccontatemi qualcosa anche voi, quando ci incontreremo: un ricordo della nostra amicizia, un sogno.
Così per qualche minuto saremo felici insieme; poi ognuno tornerà ad arrampicarsi sul proprio albero, a vivere l’equilibrismo tra passato e futuro che siamo costretti ad affrontare, soli, ma vivi.
Eccome.

                                              Sogna, Samia, sogna come se fossi il vento che gioca tra le foglie.
                                               Corri, Samia, corri come se non dovessi arrivare in nessun posto.
                                               Vivi, Samia, vivi come se tutto fosse un miracolo.


                                            Non dirmi che hai paura,       
 Giuseppe Catozzella





martedì 3 febbraio 2015

Il folle ed eterno trenino

Ovvero: Che vita difficile.


Qualche tempo fa, la mia statuaria amica Yaia ha avuto l’idea di fondare un gruppo di lettura, denominato Le Alcolettrici Anonime.
Tutto un programma.
In ogni caso, grazie alle socie del club ho iniziato l’anno 2015 con una scamionata di romanzi che fanno piangere: cosa strana, perché sono tutti firmati da autori italiani contemporanei molto spiritosi.
Ciò mi fece riflettere sul fatto che, in fondo in fondo, siamo tutti disperati anche se cerchiamo di nasconderlo dietro battute e frasi sarcastiche.
Un ottimo start per l’anno nuovo, direi.
Se l’ottimismo è il sale della vita, posso ufficialmente dichiarare che la dieta iposodica ha preso il comando di ogni singolo ambito della mia esistenza.

Dopo aver letto Cento giorni di felicità, Io e te, I pesci non chiudono gli occhi e Fai bei sogni, ho capito che tutti abbiamo avuto un’infanzia difficile e che, andando avanti, non è che la cosa migliori esponenzialmente.
Se fossimo cresciuti in un modo diverso, se non ci fosse capitato di perdere dei familiari importanti, se avessimo fatto scelte differenti… a che punto saremmo adesso?
Dove saremmo?
Cosa avremmo potuto realizzare in condizioni diverse da quelle in cui ci è toccato “venir su”?
Gramellini mi ha detto che i se sono il marchio dei falliti. Si diventa grandi nonostante.
Cazzo, se ha ragione.
E allora cosa dobbiamo fare?  Vivere e basta?
Una volta ho intervistato una signora molto, molto, molto anziana (la seconda del paese), il cui figlio minore mi ha detto che la vita della madre era paragonabile a una barca su un fiume: a momenti era tranquilla e seguiva il corso, in altre occasioni il letto era accidentato e pericoloso… Infine, si trattava solo di lasciarsi trasportare.
Bisogna solo vivere?

Non lo so. Sicuramente la chiave è quella, ma come si fa? Noi under trenta la vita vorremmo stenderla per terra e passarci sopra con una Ferrari, lasciando i segni delle ruote sull’asfalto. Oppure vorremmo divorarla come una grande e succulenta pizza. Non riusciamo ancora a vederci passivi in questo folle ed eterno trenino.

Infatti è un problema. Un problema enorme.  Ecco che cosa è la vita, per noi: un problemone.
Non ho consigli né buone idee.
Mi sa che mi tocca finire col botto, altrimenti le Alcolettrici diverranno presto le Alcol.
Ecco il botto: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Anche se abbiamo fatto una fatica della Madonna a diventare grandi, lo siamo diventati nonostante il caos, ed ora dobbiamo andare avanti, forti del fatto che non finiremo mai, ma ci trasformeremo sempre. Speriamo in qualcosa di  meravigliosamente meraviglioso.