martedì 31 dicembre 2013

SAVE THE LAST DAY



Il 2013 è stato un anno da panico.
Nel senso che il panico ha permeato ogni cosa ed ogni situazione: una bolletta, un dolorino al petto, un’incomprensione con un’amica…tutto provocava una paura maledetta e così abbiamo vissuto come se non ci fosse un domani.
Bé, io credo sia il giorno giusto per buttare nel cesso la paura e per vivere davvero come se domani fossimo sicuri di risvegliarci, foss’anche solo per la libertà per la quale stiamo combattendo.
Del 2013, salviamo quest’utlimo giorno, e poi: basta.
Manzoni fece recitare alla sua Lucia uno struggente Addio ai monti, che era anche un addio al passato e a tutto ciò che vi era contenuto; -infanzia, amore, visi conosciuti; noi scriveremo, qui ed ora, il nostro addio alla paura, salvando solo quest’ultimo giorno come souvenir di un anno dal sapore dolce-amaro.
Addio, lavoro precario! Sembra proprio che nel 2014 diverrai nient’altro che un mero, tristo ricordo di quando eravamo dei giovani del nostro tempo. Davanti a noi, adesso, si prospettano orizzonti floridi ed interminati spazi; torneremo a vivere del piacere di vivere senza darci preoccupazione del soldo, non tanto perché Dio provvederà per noi, quanto per la nostra incredibile volontà di costruirci una vita nell’universo.
Addio, stress! Ti lasciamo nel 2013, fermo in un’immagine falsata di noi stessi, tesi e tristi burattini di un calendario mangia-anime. Vacanze in Argentina? Eccoci! Avventura nei sobborghi di Londra? Arriviamo! E guai a chi già pensa che io stia farneticando.
Addio, singletudine! Nel 2013 c’è stata la nostra ultima estate da single (…me ne fossi accorta prima! L’Architetto Sexy s’è salvato in corner…), il nostro ultimo natale da single, perfino l’ultimo ultimo dell’anno da single…e abbiamo dato fondo anche all’ultimo, singolo centesimo. Non abbiamo capito dove stia l’origine dell’amore, ma nel dubbio ci abbiamo dato dentro lo stesso. La paura si tramuterà in un occhio ben aperto sulla realtà, i single verranno venerati come modelli di vita, i matrimoni celebrati nel 2014 dureranno in eterno.
E come antichi cavalieri continueremo a sognare la nostra Crimilde, Angelica agognerà Medoro come è sempre stato, Sybil si innamorerà di Dorian e, purtroppo, il finale sarà sempre quello, sempre uguale a se stesso, eppure a noi apparirà ogni giorno un po’ diverso, perché saremo noi i protagonisti della nostra storia, saremo noi ad avere in pugno la penna giorno dopo giorno, e l’anno prossimo ne salveremo più d’uno.
L’anno venturo avremo salvato tutti i nostri giorni.
La nostra vita non sarà poi così diversa, ma forse avremo capito dove sta l’origine dell’amore.


martedì 24 dicembre 2013

Facciamolo accadere




Vi ho mai raccontato la storia di come ho conosciuto l’Architetto Sexy? Mettetevi comodi e ascoltate: cercherò di spiegarvi perché, secondo me, tutto accade per un motivo e come spesso questo motivo sia una bellissima cosa.
Io e AS ci siamo incontrati per la prima volta all’asilo, quando credevo fermamente che sarei diventata suora e lui era destinato al seminario (una delle due è vera). Non ci rivedemmo mai più se non parecchi anni dopo, ad una festa di laurea.
Ma, nel frattempo, io avevo frequentato l’accademia militare e lui stava diventando un principe del foro –non nel senso che aveva intrapreso una carriera nel porno... Durante gli anni in cui non ci eravamo visti, ognuno di noi aveva fatto le sue esperienze: io avevo avuto vari fidanzati cretini, l’AS aveva sempre cercato il Vero Amore, per mia fortuna senza mai trovarlo. La via che ci avrebbe riavvicinati, però, era piena di segnali e noi li ignorammo per un bel po’, prima di renderci conto che erano importanti.
Per esempio: entrambi, da bravi appassionati di cinema, ogni settimana andavamo a uno spettacolo nel multisala più vicino al nostro paese ed eravamo presenti alle stesse proiezioni senza saperlo. Entrambi amavamo disegnare e partecipammo ad un concorso per il logo di un marchio sportivo (vinse lui). Per anni giocammo nella stessa palestra, l’AS in una squadra maschile, io nella corrispondente femminile: una volta mi lanciò un pallone. E credo che fece un commento positivo sul mio sedere.
Le nostre vite, insomma, scorrevano parallele come su due binari destinati a non incontrarsi mai. Ma, alla fine, fu la famiglia ad unirci: un giorno qualunque, al supermercato, incontrai una signora che più avanti scoprii essere la sua mamma, e la scambia per un’altra persona. La salutai chiamandola con il nome sbagliato, lei si mise a ridere e mi trovò talmente simpatica da invitarmi, la sera seguente, alla festa di laurea di suo figlio. Non conoscendolo, decisi di portargli in regalo un libro sulla città di Barcellona e fu così che l’AS, colpito dagli edifici di Gaudi, mollò la carriera forense e divenne architetto. La serata della festa di laurea fu un tale sogno, che io, grata a quell’affascinante libro spagnoleggiante, volli dedicare la vita al tentativo di scrivere altrettanto bene storie di incontri e di città, mentre l’amore tra me e il mio architetto sfociava in un Natale bohémien all’insegna della spending review.

Come alcuni di voi avranno capito, non tutto quello che ho raccontato è vero, anzi, mi sono inventata proprio una bella palla per proteggere la privacy degli albori della nostra storia d’amore, ma almeno una parola vera c’è: non è Natale, non è militare, non è motivo… E’ amore, l’unica cosa reale su cui contare.
Perché vi ho fatto perdere tempo con una storia che non è neanche accaduta? Perché invece è accaduta, non come l’ho raccontata io, ma è accaduta. E se è successo a me…
Fatevi un regalo, quest’anno: consigliate a qualcuno di leggere il mio blog. Non a qualcuno a caso. A qualcuno che vi interessa molto. Sarò la vostra catena, o almeno quell’anello che vi manca per “agganciare”. Credete sia una fesseria? Bè, se ci state anche solo pensando, ricordatevi questo: tutto accade per un motivo.

Perché non farlo accadere?

martedì 17 dicembre 2013

Sex and The Paese III -Ti lego e poi ti amo





E’ così: viviamo in un megamondo esasperato e universalizzante in cui tutti devono essere connessi gli uni agli altri. Io, però, sono orgogliosa di poter affermare che i veri legami si creano davvero all’interno di un paesino minuto come quello in cui abito.
Qui, i rapporti personali sono fondamentali, quasi morbosi, e si tramandano di generazione in generazione con estremo rispetto: non v’è famiglia che non ne abbia un’altra come “socia”, non v’è persona che, cadendo sulle strisce pedonali, non verrebbe soccorsa seduta stante da qualcuno di sua conoscenza.
Essere così fortemente uniti dà un senso di sicurezza, sì, ma lo stesso non si può dire quando si parla dei singoli uomini: anche nel paese, ormai, si è diffusa la sindrome del disimpegno.
La mia mica Brigitte, per esempio, stava uscendo da poco con un tipo che sembrava decente. Non un rospo, non un menomato mentale, non un chiodo (ormai siamo costrette a elencare i non-difetti invece dei pregi).  Niente: il ragazzo le ha fatto capire che non vuole sentirsi legato.
Stessa cosa vale per Una Persona Che Conosco. Prima uscita con un torello appena conosciuto: sembrava promettente, ma si è rivelato un linkofobico. Da scaricare al momento.
…Però a questi fanciulli piaceva sentirsi legati quando le mie amiche usavano corde e sciarpe o anche solo le proprie mani per possederli a livello fisico! In quel caso, non si capisce bene il perché, la paura di avere un contatto con l’altra persona spariva ed essi si sottomettevano di buon grado alle pratiche più intime e più restrittive.
Perché gli uomini credono che il piacere di essere legati a letto non possa corrispondere a quello di avere un legame nella vita, con qualcuno che, magari, ricambia il piacere? Bisogna per forza trombarsi mezzo mondo per trovare un uomo al quale piaccia avere un rapporto sentimentale, o dovremo addirittura esplorare gli universi sessuali marziani per iniziare una relazione non brutta, non stupida, non superficiale?
Il fatto che una donna esca con un uomo che le piace, ultimamente, nella mente semplice dell’uomo sembra corrispondere a una sorta di proposta di matrimonio enormemente precoce, dalla quale fuggire al più presto –naturalmente, non prima di aver sfruttato le doti di domatrice della ragazza. A questo punto, viene da chiedersi se non sia il caso di conformarsi all’andazzo generale e di smetterla di ricercare amore laddove dovremmo aspettarci solo uno sfrenato desiderio di bondage.

Io dico: se sul materasso ti piace essere legato come una mummia egiziana, prima o dopo dovrai dimostrarmi tanta passione quanta ne ebbe Antonio per Cleopatra. Quindi fai bene ad aver paura, perché i legami si formano, pro o contro la nostra volontà, anche dopo un’unica stantuffata (che finezza), e quando i giochi sono fatti… è assai difficile che nessuno si faccia male.
La trombamicizia non esiste. Né le donne né gli uomini –a meno che non siano molto stronzi- ne sono capaci. Inutile dettare regole e credere di poterne essere appagati. Fare sesso significa unirsi: qualcuno ha il coraggio di negarlo? Se sì, la prossima volta scriverò un post sugli struzzi che nascondono la testa sotto la sabbia.
Oggi voglio semplicemente concludere dicendo a tutti che, nel caso in cui qualcuno abbia inventato un preservativo per l’anima, non gli converrebbe brevettarlo, perché tanto non funzionerebbe. Sarebbe più utile un nastro infrangibile, da far scorrere tra le persone: a quel punto i rapporti sarebbero allo scoperto e, al momento di attraversare la strada, quello con cui hai scopato la sera prima non potrebbe evitare di salutarti.
C’è il nastro che vi lega.


martedì 10 dicembre 2013

Sex and The Paese II -Sulla bocca di tutti





Nei paesi piuttosto piccoli, com’è noto, il passatempo preferito delle persone è parlare, parlare, parlare.
Da un estremo all’altro della piazza, in ogni momento della giornata, si sentiranno risuonare saluti appassionati abbinati a soprannomi ormai leggendari, mentre il crocicchio tra il bar e il municipio è il sito perfetto per chiacchiere un po’ più intime.
L’importante è che se ne parli: con questo presupposto, fatti e confidenze che dovrebbero rimanere segreti fanno il giro del mondo in ottanta secondi. Insomma, tutto è sulla bocca di tutti –tranne ciò che dovrebbe veramente esserci, ovvero il sesso, benché questo muova l’inizio di tutte le relazioni. Cosicché risulta impossibile pensare che quelle bocche che tanto vengono utilizzate per sparlare di ciò che fanno gli altri siano usate anche per altri scopi.
Eppure si mormora che il sesso orale sia sempre sulla cresta dell’onda, se mi passate l’immagine. Certo non tra gli over fifty, per i quali il rapporto andrebbe consumato al buio, in silenzio e rapidamente il più possibile –della serie: minimo sforzo, massimo rendimento. Ma, tra i cittadini nati tra il ’68 e l’’86, le cose sono un tantino diverse, per fortuna, e soprattutto per fortuna di noi donne. Forse non c’era bisogno di adottare le labbra a canotto per svelare orgogliosamente all’intero pianeta che anche alle donne piace giocare a pin-pom, però è comunque una conquista, un atto d’emancipazione che, di recente, viene ricambiato senza storie dagli uomini.
La disparità, purtroppo, rimane tanta: anche in questo caso sembra che le donne non siano altezza –non si è mai abbastanza depilate, abbastanza linde, abbastanza coinvolte oppure troppo coinvolte-, mentre i cari uomini possono sfoggiare calippi spinosi come cactus ed esuberanti come la fontana di piazza di Spagna –per loro è naturale, sono maschi.
Ma perché non ci dimentichiamo per un’oretta che siamo di questo o di quel genere e non usiamo la bocca per fare del bene all’umanità, invece di continuare a sputare sentenze fino a tarda notte? Arriva un momento in cui, stando zitti, si ottengono risultati migliori che blaterando di spesa, ufficio, figli, scuola….

Infine, l’oralità ci aiuta ancora a tramandare storie e tradizioni di famiglia, ma non ci aiuta anche al cinema Celestini, tra coperte e lenzuolini, nel superare il divario che c’è tra uomini e donne, o tra persone diverse?
Io credo di sì. In fin dei conti, se ci si pensa bene, il sesso è sempre sesso, anche se non se ne parla apertamente.
E l’amore è sempre amore, che sia tra uomo e donna, tra persone dello stesso sesso, tra un cinese e un africano… Di amore, però, vale sempre la pena parlare. Non è un pettegolezzo, non è una prurigine, è la storia migliore che si possa tramandare: iniziamo a farlo oralmente.




martedì 3 dicembre 2013

SEX AND THE PAESE





La spiritosa Carrie Bradshaw, abitando nella metropoli di New York, poteva permettersi di parlare liberamente della vita sessuale degli altri.
A noi che risiediamo in un paese piccolo, questa libertà non è concessa, ma io direi che vale la pena di prendersela e di finirla con i falsi moralismi sul sesso: lo fanno tutti, è un dato oggettivo, quindi non è che, non parlandone, il “fenomeno” scompare.
Il problema è proprio questo: il sex nel paese è da sempre un argomento tabù, tra i più giovani come tra gli anziani, passando per tutti gli adulti di mezza età che fingono che la sessualità non esista se non per la procreazione. Alle medie, il mio insegnante saltava con cura il capitolo dedicato all’apparato riproduttivo; alle riunioni per adolescenti, la dottoressa mancava casualmente tutti gli incontri sul coito; in casa, la nonna arrossiva per una semplice  barzelletta dal vago sapore erotico.
Erotico uguale eretico, ecco come viene visto il sesso all’ombra del campanile.
Però, per pura fatalità, era sempre nei dintorni della chiesa che si andava a pomiciare (forse per spirito di contraddizione, forse per blasfemia, o forse solo perché, di sera, il campanile non fa ombra, ma buio pesto).
In un paese di quindicimila anime, inoltre, tutti sanno tutto di tutti, e il giudizio ne è la conseguenza immediata, sussurrata, perpetrata agli angoli del mercato. Se una ragazza ha tradito il fidanzato, o ha avuto un’avventura da una botta e via, o è tornata da una vacanza esotica con la “pagnotta nel forno”, dopo poche ore lo sa mezzo paese –il quale avrà premura di diffondere la pruriginosa novella all’altra metà nel giro di una settimana.
Se le stesse cose accadono a un uomo, peraltro, il pettegolezzo muore circoscritto da commenti del tipo:”E’ sempre stato un farfallone, come il padre, poveretto, che ha fatto le sue, in gioventù!”. Quindi, l’uomo figura come il Rocco Siffredi della situazione, anche se è stato uno stronzo mai visto, mentre la donna a stento viene accettata nei locali pubblici e non viene candidata per recitare la parte della Vecchia durante il falò del 6 gennaio solo perché la caccia alle streghe comporta oramai uno sforzo fisico eccessivo.
Il sesso nel paese è una questione sessista, nascosta, quasi un affare sporco: qualcosa di cui è meglio non parlare e di cui non bisognerebbe avere immagini chiare, soprattutto se si hanno meno di trent’anni e non si è sposati.
Ritengo che nel 2014 un simile atteggiamento sia patetico, ridicolo, controproducente –è inutile prendersela con i figli che rimangono incinti a16 anni se non gli si parla di contraccezione! In più, sarebbe fico sapere se quello che fai tu lo fanno anche gli altri, se ti sei inventato una nuova tecnica amatoria o se era già sulla piazza, se magari esiste qualche modo nuovo di affrontare lenzuola un po’ vecchiette.
Di cosa parliamo la prossima volta? Scegliete voi: posizioni, sesso orale o cibi e bevande ad uso po-porno?
Credo proprio che ci divertiremo molto, insieme, nelle prossime settimane. E’ lo spirito giusto per prepararsi al Natale con tutti i crismi.
Agatha Christie scrisse La morte nel villaggio? Noi risponderemo con Il sesso nel paese.



mercoledì 27 novembre 2013

La settimana comincia male, disse quello che doveva essere impiccato lunedì





La settimana comincia male, disse quello che doveva essere impiccato lunedì.
In effetti, il lunedì è sempre un giorno di feci, ma io non sottovaluterei nemmeno la domenica sera o il martedì mattina: nelle ultime quarantott’ore, infatti, mi sono successe cose talmente scandalose, che ho dovuto ripristinare la discografia anteguerra di Vasco Rossi, giusto per immaginare come si sta dopo aver tirato su una striscia di borotalco allucinogeno.

Dico che le ultime ore della mia vita (cioè, non le ultime-ultime, le più recenti, ecco) non sono state facili, ma in realtà dovrei dire che non lo sono stati gli ultimi mesi, o addirittura gli ultimi anni: sì, cari miei, la vita è davvero un gran casino. Per dirlo come lo canterebbe Vasco: La realtà ti preme addosso, ce l’hai sopra e ce l’hai sotto! Potrei affermare che l’esistenza di una persona, dal momento in cui esce dall’asilo, è un perenne, enorme lunedì, fatto di tutti i merdosi sentimenti che gentilmente lo accompagnano: ansia, tristezza, noia, paura di…, astinenza, depression, senso del tutto che scorre mentre noi restiamo uguali –sempre i soliti storditi di fronte alla orripilante bellezza della vita. (Cacchio, detto così fa proprio paura!)
D’altronde, non si può rimanere all’asilo per un’intera esistenza. La mamma e il papà prima o poi si smarronano di mantenerti, oppure, se riesci a concentrare i tuoi unici due neuroni in un punto fisso del cervello, sei tu che ti smarroni di esser mantenuto; con l’età arrivano la libertà, il diploma, il lavoro (scusate, questo solo per il 60 % dei giovani italiani), le proposte di matrimonio, le serate pazze, i buoni libri, il gran sesso e una cosa via l’altra. E’ vero, il lunedì fa schifo, ma il resto della settimana passa in frettissima, ed è per questo che bisogna cogliere ogni occasione di piacere anche nei restanti giorni, feriali o festivi che siano. Per me la settimana marcava male, ma, per esempio, uno dei miei alunni ieri ha preso 7 nel tema, Yaia ha avuto una degnissima serata con un ragazzo dal corpo stupendo (da quanto ho capito), e poi arriverà il mercoledì, Giorno dell’architetto sexy, e poi il venerdì, Giorno di cene e di rinnovati voti d’amicizia. Ed ogni giorno andremo in palestra, dove uomini sudati trascureranno gli esercizi per osservare noi donne sullo step, facendoci sentire come Dee della Fertilità, e non come Pachidermi. E’ chiaro: se devo pensare alla vita come a una jungla, preferisco vedermici in veste di tigre o di scaltra scimmietta che in quella di lento panzone grigio che schiaccia ogni cosa.

Se devo pensare alla vita come a una settimana, credo che la vivrei a bomba dall’inizio alla fine, anche il lunedì.
E pazienza se qualcosa va storto: si vede che doveva andare così, disse la vecchia guardando il marito a cui s’incendiavano i capelli.   


martedì 19 novembre 2013

Se gli piaci, ti chiamerà. Adesso!







C’è un film molto carino, uscito qualche anno fa, che s’intitola La verità è che non gli piaci abbastanza. Già dal titolo si dovrebbe capire il tono della vicenda: ragazze con la mente obnubilata dall’infatuazione non si accorgono che i ragazzi a cui corrono dietro non le cagano per un motivo preciso, e cioè perché loro, le fanciulle, non piacciono abbastanza ai rispettivi uomini.
Detto in parole povere: se piaci a un ragazzo, lui ti chiama. Anche se è naufragato su un’isola del Pacifico e per contattarti deve cavalcare gli squali a pelo, peggio che in Cast Away. Anche se è inseguito da Terminator 2. Anche se l’hanno preso a Masterchef e sta per dare il didietro a Gordon Ramsey: se gli piaci, nell’estremo momento di dolore previsto da quest’ultima opzione egli urlerà talmente forte che il suo richiamo attraverserà i continenti e ti raggiungerà come l’ululato di Buck nella natura selvaggia.
Ma se lui vive in un raggio di cinquecento chilometri –stando larghini-, non sta per farsi deflorare analmente, non sta precipitando con l’aereo e comunque non ti chiama…. La verità è che non gli piaci abbastanza.
Detto alla Sex and The City: lui non è interessato a te.

Ora, perché noi donne facciamo tanta fatica ad accettare un concetto così semplice? Non si tratta di un complesso problema teologico, filologico o filosofico, no: è un semplice dato di fatto. Gli piaci? Ti chiava, ops, ti chiama.
Non gli piaci? Non ti chiama, e nemmeno l’altra cosa, oppure l’altra cosa sì, ma poi ti chiava in senso lato, ovvero mollandoti in senso dritto.
Quante volte una donna deve sentirsi dire no ed interpretarlo come un forse sì, anzi, scusa, avevo una pecora brogna incastrata nell’esofago e ciò mi ha fatto dire no anziché sì ma volevo dire sì, certo, assolutamente!... prima di rendersi conto che per gli uomini no è N-O, negazione, negativo, nisba, non voglio vederti/sentirti/trombarti/presentarti in casa/cosarti!...?
Non lo so. E vi assicuro che non parlo per cattiveria: ci sono passata anch’io. E grazie al cielo quel bastardo mi ha lasciata e mai più cercata, così ho potuto credere che fosse imploso a causa di una scorpacciata di ribes e fagocitato dal suo stesso intestino.
Ma so per certo che, se mi fossi impuntata, avrei continuato per mesi e mesi e mesi ed altri mesi della mia SACRA VITA a ipotizzare cosa mai volesse dire quella frase, quella risposta, quella domanda. Mi accompagni in macchina alle prove della band? avrà forse significato Ho un disperato bisogno di vederti. Non riesco a smettere di pensarti. Usciamo di nuovo insieme, ti prego! E non fermare la macchina fino alla prima chiesa che trovi, perché ho una sorpresina d’oro per te…
Ho solo due parole per esprimere ciò che sento in questo momento: mamma-mia.
Ma anche: grazie-Signore-grazie (se esisti), perché sono riuscita a capire che, se con i vestiti, in tempo di crisi, si tende a spendere il meno possibile e ad avere il massimo rendimento, e ci si affezione e non li si vorrebbe buttare mai, con gli uomini la cosa dev’essere diversa, perché la moneta d’acquisto non sono meri euri, ma siamo noi. Il compagno che ci scegliamo è direttamente proporzionale al valore che diamo a noi stesse. Se una vuole uscire con un coglione che non la cerca mai, evidentemente pensa di meritarsi questo: un coglione che non la cerca mai. Per mia immensa fortuna (e anche un po’ d’astuzia), io mi accompagno ad un uomo meraviglioso, bello, intelligente, spiritoso e follemente innamorato di me da metà della sua vita. So anch’io che non ce ne sono tanti in giro, di uomini così, ma è come dire: se non c’è niente di buono da mangiare in casa, allora mangi la merda del gatto?

Però, a un certo punto, alzo le mani: tutti i gusti sono gusti, diceva il gatto leccandosi il cul. 

martedì 12 novembre 2013

Il primo appuntamento







Il primo appuntamento, come tutte le cose che si fanno per la prima volta, provoca sempre una dose di stress inaudita.
Quando una donna esce con un uomo, magari dopo molto tempo che non le capita, è doppiamente sotto pressione, anzi, triplamente, centuplicatamente… Diciamo pure che è sotto stress “alla enne”, perché a noi non basta essere nate con la maledizione del ciclo e del parto: no, noi dobbiamo anche rispondere ad aspettative sulla nostra bellezza e “seducenza” che sfiorano livelli a dir poco ridicoli.
Indi per cui, ci si ritrova davanti ad un armadio straripante a piagnucolare:Non ho niente da mettermi… Oppure si ricopre un brufolo microscopico con otto strati di fondotinta, terra, blush e ghiaino, tanto che alla fine, invece che un brufolo, l’innocua escrescenza sembra il fungo in cui abita il Grande Puffo.
Roba da urlare fino a far scoppiare tutte le noci di cocco appese alle palme dei Caraibi.

Secondo i miei studi sul campo, l’ansia da primo appuntamento traccia una linea ascendente sul piano cartesiano della nostra vita –almeno, fino ai trent’anni circa, quando poi torna inesorabilmente giù. Ecco come risultano essere gli atteggiamenti nei confronti delle prime uscite per donne in varie fasce d’età (sondaggio svoltosi tra le mie ormai note conoscenti, a loro insaputa):
-adolescente: fibrillazione
-ragazza con il 2 davanti: ansia, ansia, ansia
-donna alla terza decade: noia totale

Da adolescenti, il preliminare occupa tutto lo spazio immaginativo che renderà l’appuntamento speciale. Ore ed ore di speranze precedono la fatidica richiesta di lui; altre ore sono necessarie per scegliere il vestito giusto; almeno dieci ore sono dedicate a fantasticare con le amiche sulla scena del primo bacio.
L’adolescente maschio, prima del date, si lava velocemente i denti perché spera di riuscire a infilarle la lingua in bocca.

La ragazza tra i venti e i trenta è il soggetto messo peggio.
Dato che si avvicina a una fase della vita in cui sembra che tutte le altre abbiano già: scopato, inanellato un uomo all’altare, avuto figli e trovato il lavoro più figo del mondo, si inizia a domandarsi cosa c’è di sbagliato in se stesse e a dubitare della propria persona.
Tale insicurezza aumenta dopo un certo numero di uscite sbagliate/disastrose/trombevoli senza seguito. E ciò induce la donna ad accettare appuntamenti con i tipi più strampalati, dal Gargoyle all’esse-ti-erre-onzo nudo e crudo.
Un simile comportamento include anche il darla subito, nel timore che il non farlo possa suscitare dubbi, nell’accompagnatore, sulla eterosessualità dell’amica e sula sua “apertura” mentale.
Lui, comunque, si  lava velocemente i denti perché spera di inoltrare la lingua a mo’ di formichiere nella tana della compagna.

Le donne che hanno superato i trenta, piuttosto di andare ad un appuntamento al buio si farebbero levare un rene senza anestesia, perché ne hanno viste tante di cose strane sotto il sole! e sanno che, contro ogni aspettativa, la prima uscita sarà una vera emme-e-rda. Per quanto si vestano bene, si trucchino sapientemente e preparino una lista mentale di argomenti di cui parlare per non far languire la situation, l’uomo over trenta fallirà –misero- la missione di condurre una conversazione decente e di far sentire a proprio agio la partner, finendo col metterle la lingua in bocca. E nessuno sa se un uomo che vive da solo si lavi davvero i denti prima di uscire.


Dunque, in ogni caso, se non altro, visto che gli uomini campano meno di noi, ci ritroveremo nel club delle over novanta a sbiascicare castagne stracotte in una sera di San Martino come questa, e a rimembrare quanto fosse divertente, benché duro, quel periodo della nostra vita in cui si avevano dei primi appuntamenti. I  maschi superstiti, seduti in poltrona, avranno solo la parte dura da ricordare. Nostalgia, nostalgia canaglia…

martedì 5 novembre 2013

I MIGLIORI RACCONTI SESSUALI MAI UDITI DA ORECCHIO UMANO



D’accordo.
Se devo parlare di pene d’amore, lo faccio adesso o mai più.
Ma lo farò abbassando il tiro, o meglio: abbassando lo sguardo al “tiro”.
Una poetessa di cui non ricordo il nome affermava che i pensieri delle donne nascono dal petto e viaggiano verso l’alto, mentre quelli degli uomini nascono dalla testa e viaggiano verso il basso. Una Persona Che Conosco ritiene invece che i pensieri degli uomini non abbiano nemmeno un’origine così nobile come la mente, ma siano invece generati direttamente dal loro roseo amico ai piani bassi e lì si fermino.
Credo si a vero.
E, per confermare questa tesi, voglio condividere con voi alcuni dei migliori racconti sessuali accumulati nel corso di tanti anni di confidenze, aventi per protagonisti uomini all’apparenza normali, che poi si sono rivelati per quello che erano: nient’altro che un uccello attaccato a un corpo umano, con l’aggiunta casuale di un neurone vagante.

Primo.
Il miglior racconto sessuale mi deriva da Una Persona Che Conosco, esperta di uomini balordi.
Il balordo in questione la affascinò spagnoleggiando, bevendo insieme a lei, ma ebbe un piccolo incidente di percorso –e proprio sul più bello: diciamo che non tentò nemmeno di raggiungere il gabinetto, essendo concentrato su un’attività effettivamente impegnativa a livello fisico.
Immagina la scena.
Da allora, la Persona Che Conosco diffida sempre dei tipi spavaldi che rifiutano il pipì stop.

Secondo.
Si guadagna il secondo posto della classifica il signor Sfilatino. Lo hanno assaggiato alcune mie amiche e mi hanno riportato una descrizione assai vivida delle sue abilità: sembra che faccia l’amore come un operaio bendato con un martello pneumatico impazzito tra le mani. Inoltre, Sfilatino va annoverato per le dimensioni: roba da far invidia ad Abatantuono.

Terzo.
Il terzo racconto narra dell’uomo che apprezzava particolarmente i piercing. Lei ne aveva uno, e non si aspettava che un’innocente pallina d’oro sarebbe stata accolta con tanto candido stupore…

Quarto.
Sul quarto gradino del podio (il mio podio è diverso da quelli comunemente utilizzati) posizioniamo Random, ma solo perché ha un bellissimo soprannome, nato durante una serata in cui, in mancanza d’altro, Glade minacciò di farsi tutti i presenti a random, ovvero a tabula rasa. E di lì a poco toccò a lui.

Il quinto racconto sessuale coinvolge tutti coloro che hanno approcciato –chi con dolcezza, chi con minor garbatezza- alla porta posteriore delle mie amiche.
Scene del tipo: siamo in intimità, tu mi sali sulla schiena e… “ehi!” E lui: “aaaaah…” oppure: “Ops”.
Cose dell’altro mondo.
Sono certa, però, che almeno una delle mie amiche ha reagito davvero male e gli ha  ricambiato pan per focaccia –non scendo nei dettagli, ma vi consiglio di tenere a portata di mano, sul comodino per esempio, un tubetto di vasellina per ogni evenienza.

Ecco, credo che questi siano i top racconti sexual che mi siano mai stati fatti, o almeno i più divertenti.
Non dico che degli episodi sparsi collochino tutto il genere maschile al di sotto della media, in quanto a QI, ma sicuramente non li confermano come déi del sesso né come esseri intelligenti a livello emotivo (il ragazzo del piercing precoce avrebbe sicuramente bisogno di una mano, o perlomeno di un cleenex.)

Dopotutto, però, mi rendo conto che ci assomigliamo: quando il corpo lavora, la testa perde tutte le sue funzioni, sia per i maschi sia per le femmine, con l’unica differenza che, più tardi, finito l’impeachment, un barlume di assennatezza torna a splendere nella mente delle donne, e ci reniamo conto della gravità della situazione.

Beata inconsapevolezza. 

martedì 29 ottobre 2013

Il decalogo delle mie libertà







Siccome oggi ho un mal di testa tale che se qualcuno al piano terra sussurrasse una sillaba mi si ritroverebbe accucciata in un angolo a dondolare avanti e indietro con le mani sopra le orecchie, e sappiamo tutti benissimo perché ho questo mal di testa, mi sono chiesta come mai io, donna, non possa  ritenermi libera di sentirmi tale né di vivere nel modo più appropriato questa meravigliosa condizione.
Sembra che le donne siano ormai considerate pari agli uomini, in quanto a diritti e doveri, ma, grazie alla Storia, alla Chiesa, alle precedenti generazioni di donne che hanno accettato il Grande Inganno e all’attuale generazione, convinta che “vada bene così”, la realtà è che siamo ancora completamente soggiogate  -se non proprio nei confronti dell’uomo, perlomeno nei confronti dell’immagine che l’uomo ha di noi.
Perché, per avere un minimo di rispetto sociale, credibilità in famiglia e autorità lavorativa, una donna dei giorni nostri deve per forza ricorrere all’aspetto fisico e nascondere i “sintomi” della propria donnità?
Basta. Come Daniel Pennac ha stilato l’elenco dei diritti del lettore, io qui scrivo il decalogo delle libertà che sceglierei in quanto donna, se potessi. E poi vediamo i corollari.

1.     Libertà di amare chi voglio, senza essere etichettata come lesbica, arrampicatrice sociale, puttana.
2.     Libertà di scegliere quale lavoro fare nella vita, senza essere etichettata come lesbica, arrampicatrice sociale, puttana!
3.     Libertà di gestire l’interno e l’esterno del mio corpo come meglio credo, senza… (vedi sopra.)
4.     Libertà di dire ciò che voglio, senza offendere nessuno, beninteso, e vedi sopra.
5.     Libertà di andare dove mi pare, a qualsiasi ora del giorno e della notte, senza paura e vedi sopra.
6.     Libertà di avere o di non avere istinto materno in qualsiasi momento della mia vita, con o senza soldi in tasca, con o senza un partner, vedi sopra.
7.     Libertà di esprimere i miei sentimenti come meglio credo, quando ne ho bisogno, senza essere compatita perché mestruata, zitella inacidita, puttana.
8.     Libertà di non accettare maschilismi, femminismi e tutti quegli estrem-ismi che rovinano il bello che c’è nel mondo.
9.     Libertà di morire nel modo in cui deciderò, quando sarà ora, e se avrò avuto la fortuna di arrivarci deliberatamente e non per cause naturali. Questo vale anche per gli uomini, direi.
10. Libertà di sperare che Gesù, Shakespeare e Paul McCartney fossero donne.

Ammetto che alcuni di questi diritti che io mi arrogo suonano strani (tipo…l’ultimo), ma io la vedo così. Ci sarebbero altre libertà che avrei voluto aggiungere. Per esempio: libertà, per una mamma, di restare seduta a tavola per un’intera serata anziché dover correre dietro ai figli mentre il marito chiacchiera con gli altri papà. Oppure: libertà di dire “forte quella donna!” invece di “quella donna ha le palle”.
I maschi mi risponderanno che possiedo già queste libertà, che nessuno mi punta una pistola alla tempia per obbligarmi a sposare un ricco uomo maturo prescelto dalla mia famiglia. A parte il fatto che questo avviene ancora in alcuni paesi, ma comunque… in un certo senso hanno ragione loro, muovendomi l’obiezione. Quindi, termino l’elenco con il punto numero 11: Libertà di considerarsi libere nonostante l’influenza dei giudizi sociali, dei media, della cultura, della religione, della famiglia, degli uomini stupidi e delle donne che vogliono ignorare.


Essere donne non dipende certamente dall’avere il ciclo ogni mese, ma, dal momento che ce l’ho, io vorrei solo essere libera di dispiacermene o di gioirne, se mi gira, senza sentirmi dare della pazza emotiva instabile e maniaco-depressiva soltanto per aver sclerato con un collega. Ci sono momenti in cui sclero per molto meno di un tampax, e vi assicuro che non lo faccio perché sono donna, ma semplicemente perché ho uno dei peggiori caratteri dell’universo, e allora sì, che gli uomini che conosco dovrebbero augurarsi di non trovarsi sulla mia strada. 

martedì 22 ottobre 2013

Elucubrazione sulla bellezza




Qualche anno fa andava in onda un telefilm sulla chirurgia estetica i cui episodi iniziavano, ogni volta, così:”Mi dica cosa non le piace di se stesso” o “di se stessa.”
Ed è strano come, quasi sempre, i pazienti non rispondessero:”Il mio naso. Il mio seno. Il mio addome…”, bensì:”La mia stupidità. La mia età. Il mio passato…”
Carattere e tempo, ossia genetica e fatti, traumi, errori, ai quali il bisturi non può certamente rimediare. Chiaro, direte voi, se fosse così semplice saremmo tutti dal chirurgo estetico a farci rimodellare il cervello, e non qui, davanti al computer, a leggere una rubrica che, oltretutto, non alleggerisce i problemi.
Eh, lo so. Piacersi è una sfida continua. Il nostro corpo ci impone manutenzione e, nel migliore dei casi, un po’ di ginnastica, una spolverata di quei pigmenti tossici che chiamano trucco… E comunque, davanti allo specchio, non ci si ritiene mai “abbastanza”. Non voglio scatenare psicosi, ma il “dentro” è ancora peggio: nonostante la fede, la forza che si cerca di farsi, le illusioni, lo yoga e tante buone parole… siamo sempre insoddisfatti. Un parte della nostra anima non ci piace mai, forse perché non la conosciamo veramente, o perché, una volta compresala, vi auto-indulgiamo.
Credo non sia un caso se, infatti, sono più donne che uomini a rivolgersi ai chirurghi. E’ come se, oltre ad essere circondate da stimoli visivi che ci propongono –e propongono agli uomini- modelli di bellezza irraggiungibili senza la punturina di botox, noi donne fossimo anche un po’ più esigenti nei confronti di noi stesse. Fuori come dentro, non ricerchiamo che la perfezione: questo fa paura, soprattutto agli uomini.

Una donna vive nella costante pressione di aspettative esagerate, che un tempo la volevano ottima moglie e madre, e casalinga perfetta, full-time, efficiente. Ora, a queste aspettative si sono aggiunte quelle che riguardano gli studi, il lavoro, l’essere multitasking.
Multitasking un corno!!!
Non siamo passeggini a cui applicare grosse sacche di latte e di calore: quelli sono i canguri e su di loro non gravano aspettative da premio Nobel. Il nostro corpo non è eterno, indistruttibile ed infinitamente funzionale. Non siamo una scatola suddivisa in compartimenti stagni –mani per scrivere, capelli per risplendere, gambe per andare… ma solo sui tacchi.  In noi, tutto è collegato, gli organi, il sangue, le cellule… L’interno è separato dall’esterno soltanto da un sottile strato di pelle; le nostre emozioni sono a stento trattenute dal colore del viso; la paura trapela dallo sguardo.
Complicato, vero? Il nostro io è una cosa davvero spettacolare, non inferiore a tutte le altre manifestazioni della natura, nei suoi colori accesi e nelle sue armonie indescrivibili.
Come si fa a rinunciare alla bellezza?
Credo sia una cosa a cui le persone aspireranno sempre, così come ricercheremo il piacere.
E la vita è così corta, che non credo sia giusto lasciarsi sfuggire le occasioni di stare bene.
Esteta, edonista… se vi state chiedendo se oggi mi sono fatta una canna, sappiate che il mio problema è molto più grave: sono così di natura.


martedì 15 ottobre 2013

L'importanza di scegliersi un nome








Avete notato come, di recente, vada tanto di moda la bottiglia o il barattolo con il nome stampato sull’etichetta? Mi riferisco alla confezione di quella bevanda nerastra che fa digerire e della nota crema di nocciole di cui ho fatto tranquillamente il nome nel post precedente!
In particolare, mi ha colpito la pubblicità del secondo prodotto: è vero, nel corso della vita veniamo chiamati in tantissimi modi, e ognuno sembra connotarci in qualcosa di diverso da quello che eravamo appena poco prima.
Io, per esempio, sono nata Paola; la famiglia mi ha chiamata Paoletta o Paolotta (a seconda del peso raggiunto), e a volte anche Paqla (errore di mia mamma, che non sa scrivere con il cell…); per gli amici sono stata Pola e Piz, ma spesso anche Stronza e Sbronza; con “lui” sono Amore… e nei momenti critici sono AMORE, ma cazzo!!!
A scuola e nei lavori più formali mi hanno apostrofato come Peretti, Peretto e Barbara (!).
I bambini e i ragazzi di cui sono stata insegnante mi hanno riconosciuta come maestra, prof, Paolona, Paolina, Lauramammaehi… ed altri epiteti che non riporto perché ho rispetto per me stessa.
Quanti nomi possiamo avere? E quanti ruoli ricopriamo mentre esistiamo? Non saranno forse troppi? Non si rischia di perdersi un po’ in mezzo a questa selva di doveri e di richiami?
Una volta un prete mi disse che non dovevo dare soprannomi ai miei amici o alla mia persona, perché il nome di battesimo è bello, è quello che i genitori hanno scelto per noi e non va alterato. Vorrei sapere se anche Crocifissa e Pierubaldo la pensano così.
Certo, nemmeno a me fa piacere quando mi punzecchiano: Paolotta, Paolona… Ma, se quel nomignolo è ciò che mi si addice in un determinato momento della mia vita, che ci posso fare? Me lo tengo e vado avanti.
Sulla carta d’identità scrivono chi siamo in base a un’osservazione oggettiva dei dati –in teoria: nome Paola, stato nubile, professione studente, altezza 160 cm, segni particolari nessuno. Bè, posso dirvi con sicurezza che solo una di queste cose è vera, e si tratta di un numero.
Ma come?, mi sentirò chiedere. Non sei Paola, non sei nubile?
Sono Paola al battesimo: peccato che sia diventata atea. Sono nubile ma convivo: per me è come un matrimonio. Professione: per lo Stato italiano sono disoccupata, perché non guadagno abbastanza per passare di categoria. Pour moi sono insegnante, giornalista, hostess di fiera… e scrittrice ancora in ostaggio nel corpo di una blogger!
Infine, non ho mai sopportato l’ultima dicitura della carta d’identità: i segni particolari. Lo so che la signora dell’anagrafe non ha il tempo di starti a guardare in faccia ed esplorare i tuoi mondi nascosti, ma a me divertirebbe trovare almeno una piccola cosa nel volto di ogni persona: uno sguardo, una cicatrice… Se lavorassi in quell’ufficio, scriverei: “mento sfuggente, tipico del criminale”. “Occhi da incantatore di serpenti”. “Lentiggini come se piovesse”. “Dentatura invidiabile”. “Sopracciglia da sfoltire”. “Naso indimenticabile”.

Non sarebbe bello poter avere davvero tutte quelle identità? Sentirle proprie, non ripudiarle, tuffarvisi, come in effetti facciamo nella realtà fattuale della vita di tutti i giorni? In fondo, i genitori, insieme al nome, ci hanno dato anche tutte le altre possibilità di essere. Sono quasi certa che poi spetti a noi riconoscerci in ognuna di esse, con malleabilità ed esuberanza. Non siamo creature monolitiche: siamo personaggi che si evolvono e che devono trovare la forza di inserirsi nella trama, al proprio posto, con un proprio nome. Alla fine, siamo noi che scegliamo chi essere.

Paqla, Piz, Peretto… non ha importanza. Una borsa di Buberry resta una splendida borsa, anche se non ha lo stemma che la denota come tale. E’ una forma di libertà estrema, scegliersi il nome da sé, ma lo ha fatto anche Pippi, e non per questo l’amiamo di meno… anzi. Pippi, Pippi, Pippi: che nome! Fa un po’ ridere… così canta la canzone, no? Ma voi riderete per quello che farò

martedì 8 ottobre 2013

In tristezza e in verità


Post per la naturale bellezza di tutte le donne e di tutti gli uomini 


Piove.
E subito altre parole mi vengono un mente:
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere…
Quante ne sapeva, quel fascinoso poeta che si faceva chiamare D’Annunzio! Lui, sì, aveva capito quanto un uomo o una donna possano diventar selvaggi e naturali in un giorno di pioggia.
Come questo.
Tranquilli, non mi troverete in un supermarket a copulare col cassiere sul nastro che trasporta gli alimenti, né a danzare in giardino mentre cerco di bere le gocce che cadono dai rami degli alberi (peccato però: questa seconda opzione non mi dispiaceva.)
Dico solo che oggi piove, e la pioggia tira fuori una tristezza viscerale, carnale… roba che se avessi qui un pacchetto di sigarette, una bottiglia di vodka o un barattolo di Nutella  non esiterei a terminarli in un battibaleno. Nota: dopo aver affermato ciò, spero che nessuno, tra le persone che stanno pensando di assumermi in questo momento, legga il mio blog.
Se fosse fine luglio e stesse piovendo, lo accetterei con meno psicodrammi. Ma è ottobre, e piove, e l’unica cosa da fare è ascoltare la pioggia.
Ergo, lasciarsi prendere dalla tristezza.
E’ così bello, essere tristi e non deprimersi. E’ un po’ come essere poveri, ma non per strada. Sai di arrancare, sai che stasera, nella doccia, dovrai insaponarti tenendo l’acqua “chiusa”, ma anche per questo mese hai un tetto sopra la testa e puoi permetterti di guardare la tenda –senza scostarla- e ascoltare. Ascoltare il rumore metallico delle gocce che pliccano sulla ringhiera del balcone, quello sordo e marrone –tuf, tuf- delle gocciolone che atterrano nei vasi del basilico, quello scrosciante delle pozzanghere su cui passano le automobili (e lì speri solo due cose: o che l’auto si sia salvata dall’acquaplaning, o che abbia prodotto un’onda tale da far la doccia a un passante.)
Dopo un po’, i vari sting sting e tuf si perdono in uno sguardo più intimo e ci si ritrova ad ascoltare se stessi. All’inizio, la voce dentro la testa è calma e quasi impercettibile; poi la confusione aumenta e…ci si mette a piangere: non è mai facile starsi ad ascoltare.
Quando mi capita, per me l’unica soluzione è piangere, piangere, piangere davvero con tutte le mie forze. Anzi, mi metto pure davanti allo specchio, così mi compatisco ancora di più. Singhiozzo (perché un singhiozzo ne chiama altri dieci, cento…), e dopo circa un quarto d’ora mi sento  molto stupida e inizio a farmi la pulizia del viso. Ecco come un momento di profonda riflessione interiore si tramuta in un esercizio estetico fine a se stesso…

Deprimersi non è la reazione migliore a questo frangente storico. Ricercare la bellezza sì. Essere naturali e genuini, sì. Ascoltare il proprio IO, comprenderlo, scatenarlo –togliergli le catene- …sì. Non so se una buona strategia consista nello spostarsi all'altro capo del mondo. Prima o poi, pioverà anche a Roma, a Barcellona, in America. E di nuovo saremo presi da quella suprema tristezza di noi, e dovremo fare i conti con quella persona che siamo, che conosciamo così poco, che passiamo troppo spesso sotto silenzio. La pioggia è sempre pioggia, la natura è sempre natura e noi siamo sempre noi: scoprirlo è traumatico e ci inchioda alla nuda terra. Eppure ci avvicina tutti in un virente bosco selvaggio, dove non c’è quasi spazio per il cattivo umore, perché la bellezza della vita reale trasuda da ogni cosa e ci rende tutti esattamente come dovremmo essere. Veri.


martedì 1 ottobre 2013

Illusioni & co.




Il cuore ammette dubbi? Il cervello ci aiuta a chiarirli?




Tra qualche mese mi sposo, e dovrei stare a dieta.
Non che le due cose siano per forza connesse (forse si perde solo l’appetito realizzando di essere sulla via della prigione), ma a quanto pare i vestiti bianchi li possono indossare solo le donne fatte a palo e non quelle a clessidra.
E io che credevo che il bianco simboleggiasse la purezza! Invece, è chiaro come il sole che rappresenta il raggiungimento del decimo chilo perso e la chiusura del bottone più stretto –ecco perché gli sposi non toccano cibo al pranzo di nozze: rischiano l’esplosione a raffica delle tiratissime file di bottoni che, per un giorno, li fanno sembrare smilzi come modelli.
Sinceramente, me ne frego della smilzezza. Ognuno ha il corpo che ha, ed è per questo che mi ritrovo a dire: Dovrei stare a dieta… Per una che dedica due o tre ore al giorno alla cucina, il condizionale –quando si parla di dieta- è d’obbligo. Da qui, un pensiero: quante altre cose della mia vita sottopongo all’indulgenza di quel modo verbale? Lo fanno anche gli altri? E quand’è che ne abbiamo il diritto e quando, invece, è soltanto una scusa per non fare, o per fare troppo?
L’architetto sexy (alias, presto sposo strizzato in un completo skinny) mi ricorda sempre che non dovrei stare ad ascoltare per più di dieci minuti al giorno discorsi negativi. Pare l’abbi aletto da qualche parte, e forse ha ragione… Ma la vita è piena di negatività e lamentele,; come si fa a sottrarre le orecchie a… al mondo?? Eppure dovrei farlo. E lo fare, se… se solo non…
Eccoci qui. Lo farei, se… Ho idea che sia proprio quel SE che ci frega. L’ipotesi.
Noi donne passiamo tutto il nostro tempo a ipotizzare situazioni, messaggi subliminali, scenari paralleli che non sono realistici, ma che secondo noi avrebbero potuto essere… se solo ci fossimo comportate in altri mille modi, tranne quello in cui invece ci siamo comportate. Come per il peso, io dico: siamo così. E’ inutile che una ragazza dal bacino largo un metro e mezzo cerchi di entrare in un jeans taglia 40, anche se ormai non ha più ciccia sulle ossa. E’ inutile che una donna s’illuda di poter acquistare un abito da sposa, se li fabbricano solo per i manichini da esposizione –e infatti… il mio vestito non sarà esattamente candido, né da mannequin.
E’ inutile anche cercare di convincere una donna innamorata che si sta facendo del male, se si è messa in fissa con un uomo: essa non si accorgerà del dolore nemmeno se lui dovesse saltarle a piè pari sui mignoli dei piedi. Però è altrettanto inutile accanirsi su una relazione che sta morendo, se ne abbiamo il vago presentimento. Perché, se ne abbiamo il vago presentimento, non significa che potrebbe accadere: significa che sta accadendo. Purtroppo, la vita è un dato di fatto, ma non è fatta di dati, quindi noi la crediamo soggetta ad interpretazione per il semplice motivo che, questi fatti, in mano non li abbiamo, non sono a portata d’occhi, non concretamente. E ci ritroviamo ad arrovellarci su qualsiasi cosa accada, invece di leggere la realtà, e agire di conseguenza.
Una volta t’insegnavano il senso del dovere,il concetto di potere, la necessità di volere. Oggi tutto è un dovrei, ma più tardi; potrei, ma non ne ho voglia; vorrei, ma è un rischio… L’ipotesi di quel che accadrebbe se riuscissimo a vivere appieno la nostra esistenza appare ai miei occhi un sogno spaventoso, intoccabile -come scriveva Flaubert, “non si devono toccare gli idoli: la doratura resta sulle mani.” Eppure, non vedo in quale altro modo si possa vivere, se non insozzandosi le mani d’oro, di polvere, di farina, di matita temperata… Tutte cose reali, sulle quali non c’è bisogno di immaginare nulla.  Certo, nei rapporti non è sempre così facile individuare ciò che è vero e ciò che sarebbe meglio evitare; d’altro canto io sono abbastanza sicura che il nostro cuore sia bravissimo a capire certe cose e che non ci tradirebbe mai. Anzi, che non ci tradisce. All’indicativo.


Che bella para ho trascritto oggi, direttamente dal retro del mio cervelletto striminzito! Lui, purtroppo per me, non è mai a dieta e non smette un attimo di macinare, macinare… Se si fermasse, sarebbe un guaio: con una simile ipotesi di reato, mi becco almeno almeno cinque anni di galera. Senza condizionale.