martedì 23 dicembre 2014

Gli auguri per chi mangia lenticchie





Allora, ragazze e ragazzi, vi annuncio che, stanca dei soliti, falsissimi auguri da “sotto l’albero”, oggi vi proporrò delle alternative valide con cui rispondere a chi vi lancia il gatto nero del …tanta serenità!

Bene. Io non vi auguro armonia e pace interiore. Vi auguro di vivere veramente, di riuscire a capire cosa volete fare della vostra vita e di essere sempre affamati (come ci voleva Steve Jobs). Vi auguro letture avvincenti e musica, e di non preoccuparvi di disturbare il vicino ma di invitarlo a ballare con voi.
Non vi auguro l’essenziale. Vi auguro di vincere il primo premio alla lotteria Italia, e, in questo caso, di ricordarvi di me.
Non vi auguro di trovare il principe Azzurro, ma di incontrare una persona plebea che vi ami intensamente e che faccia sentire voi in vetta al mondo. Vi auguro di farci bene l’amore, spesso e con fantasia.
Non vi auguro un Capodanno figo, con cenone, spumante e baci sotto il vischio. Vi auguro una serata davvero divertente,  all’altezza di un anno da divorare fino alla fine del countdown, e di risvegliarvi il primo di gennaio senza ricordare immediatamente in che mondo ci tocca ricominciare. Vi auguro di stare in famiglia, o con chi ne fa le veci.
Non auguro la pace universale, ma di leggere il giornale, un bel mattino, e scoprire che tutti i terroristi, i mafiosi, i politici faccia-comeilculo, gli assassini, i pedofili, i violenti, i manipolatori, gli sfruttatori e i loro complici sono improvvisamente schiattati.

L’unica cosa che di solito si augura e che condivido è la salute: spero ne abbiate a pacchi, a carretti, a silos, e se già non ne avete molta vi auguro di vivere come stracavolo volete ogni fottuto istante che vi resta.
Infine, un augurio speciale per chi mangia ogni anno uva e lenticchie.

Magari stavolta funzionano.

martedì 16 dicembre 2014

TO BELIEVE OR NOT TO BELIEVE?




Quante volte, soprattutto al mattino, vi è capitato di ritrovarvi a cantare a gola spiegata quella canzone che fa…
I believe I can flaaaai…
I believe I can touch the scaaai…!
A me, molte: mi sveglio positiva, lo ammetto. Poi, di solito, le mie grandi aspettative vengono disattese (leggi: settimana di emme-erda), ma va bon. Almeno la cantatina me la sono fatta.
La scorsa settimana, però, ho avuto ben donde di riflettere seriamente sul “believe”, cioè sullo sfrenato desiderio/bisogno di credere in qualcosa, che l’uomo ha sempre avuto. Ho visto infatti due film assai stimolanti, in proposito: Magic in the moonlight e E.T.; in più, Glade, reduce dal concerto di Fabi, Silvestri e Gazzè, si dice ormai convinta che “l’amore non esiste”, ed io ci sto pensando.
Mi sono illusa, per tutti questi anni? Non era amore, quello tra me e l’Architetto Sexy, ma solo reazione chimica? Se non abbiamo l’anima, perché soffrire?
Domande esistenziali. Stamattina, niente I can flai, stamattina è l’alba di un giorno scettico, come la prof di latino e greco quando affermavo di non aver copiato la versione di Tucidide. (E chi non l’aveva copiata, dico io?? Se usciva quello, alla maturità, rimanevamo tutti bocciati. Garantito.)
Ieri sera, ad aggravare la situazione, in tv trasmettevano uno show sui Dieci Comandamenti, e lì ho raggiunto l’apoteosi del mio razionalismo (anche se ‘apoteosi’ forse non è il termine più adatto ad una dichiarazione di ateismo!). Ecco che, dall’ottimismo del mio cuore pieno di passioni –marito, famiglia, amici, scrittura e letteratura, feste!-, son passata in picchiata ad una rinnovata stima nell’evoluzionismo e alla certezza che, nell’universo, siamo  soli soletti (almeno, nell’universo che conosciamo).
Ci mancava giusto che il nipote scoprisse la verità su Santa Lucia! Un trauma –per gli adulti- da cui si capisce che l’infanzia dura tre secondi; così, quel poco di magia che ci tocca nella vita si esaurisce  entro pochi vagiti e non rimane che ricordarsi di quanto si era polli quando ancora ci si credeva.
Non è detto che tutto quello che non vediamo non esista, diceva il conduttore dello show di ieri sera. Come la verità, la giustizia, la paura, l’affetto. E invece, guarda un po’ Glade!, adesso ci credo che non esistano. Forse è così: l’amore non esiste. Ma esistiamo noi. La natura ci ha mollati qui e ci ha tolto anche la coda, le branchie, l’illusione. Ma non è ancora riuscita a levarci la nostra disperata volontà di essere felici, ogni tanto, per sbaglio, per passare il tempo, per non lasciarci vivere. La verità, la giustizia, forse non esistono in maniera tangibile, ma noi le abbiamo ideate, gli abbiamo dato un nome, le abbiamo costruite e rese socialmente utili, le abbiamo rese concrete. Come la paura, che ci incatena in casa, o l’amicizia, che ce ne fa uscire.
E l’amore? Anche quello è una nostra formazione mentale? Mi sa.
Che bella cosa che abbiamo inventato.

E l’abbiamo fatta diventare reale, altro che extraterrestri.

martedì 9 dicembre 2014

Poveri ma belli





Il clima, i ricconi e i sederi
fan tutto secondo i loro desideri.

Così recita un detto tipico delle mie zone, che ho gentilmente tradotto in italiano per il vostro piacere.
E’ un detto di un’onestà brutale, che si basa senza dubbio su una verità assoluta: non si può imporre ai tre protagonisti del proverbio di sottostare ad ordini che non provengano da se stessi.
Cosa vera, ma non del tutto. Per consolarmi della mia indigenza, ho partorito un pensiero che mette in croce chi può permettersi di comprare abiti nuovi a destra e a mancina, dando modo a noi barboncini di sentirci un po’ più sul pezzo: sarà anche bello poter acquistare un vestito nuovo per ogni occasione –Natale, compleanno, cerimonie varie, onomastico…-, ma così si è sempre soggetti ai dettami della moda. Il pover’uomo senza il becco d’un quattrino, perlomeno non ha di questi problemi. Che sia Pasqua o Capodanno, il risparmiatore seriale costretto a perpetrare il reato si rimette la stessa, linda camicia, che con il passare del tempo assume un interessante tono avorio, poi crema. Una cravatta originale (la prima volta che la si indossa), pantaloni ben stirati (con il buchino nel cavallo) e un cappotto che andava di moda ai tempi del Concilio di Trento.
E la donna povera? Codella si strazia un po’ di più al pensiero di non potersi mettere addosso un capo nuovo (che poi, se sul lavoro è una troia, mettersi addosso un capo non dovrebbe essere difficile. Ma di solito le donne povere lo sono per un motivo ben preciso). Tutto sommato, però, vuoi mettere la libertà di agghindarsi secondo il proprio stravagante gusto, ignare degli accessori da giornale e delle scarpe più trendy del momento? Non esistono, per una giovine, soddisfazioni maggiori di quelle derivanti dal sentirsi fyga nonostante il vestito dell’anno scorso, la pettinatura fatta in casa, le unghie smaltate dalla mamma. Maestre del trucco da tutorial, regine dell’autostima a tutti i costi, dive del riciclo tragicomico, le donne povere sono facilmente riconoscibili nel gruppo di una festa di Capodanno, poiché indossano abiti altamente improbabili spacciandoli con classe per vintage o per avanguardia fashion. Lo fanno con una dignità che sfiora l’arroganza, e il maschio apprezza. Respira, ed è anche sicura di sé: a lui basta questo, ve lo assicuro.
Chi se ne importa, poi, se sotto la scorza dura abbiamo un intimo spaiato, o se tremiamo interiormente di paura facendo il nostro ingresso al party. Quelle sono emozioni sincere, di cui né clima né ricconi vari ci possono privare.
Quindi, in ultima analisi, l’unico nemico di noi stesse risulta essere il sedere, inteso fortuna, grasso superfluo o diarrea. Cose simili non le possiamo controllare più di tanto, e nemmeno i ricchi.
Così l’odiato ritornello iniziale si tramuta in una breve chenson, che fa…

Con comodo i ricchi vivon beati,
begli abiti indossano, preziosi e firmati.
Ma se il cul fa trombetta
nella festa perfetta
solo loro rimangon scioccati:
a questo i poverelli son già abituati.


martedì 2 dicembre 2014

Bottomless: umanità senza veli


Domenica sera abbiamo fatto incetta di pizza ed accolto una nuova mascotte-barra-tassista nel nostro infido gruppetto.
Il giovane e baldo Maggiolone ci ha infatti onorate della sua presenza con un consiglio di prim’ordine: il bottomless, ovvero la corsa per le vie del paese senza gli indumenti a difesa delle proprie pudenda inferiori.
Idea stuzzicante. Soprattutto se teniamo presente che il nostro è un borgo completamente all’ombra (del campanile) e che tutti, qui, sono andati all’asilo dalle suore.

Da piccoli ci coprivano con il grembiulino e ci privavano del piacere di sbirciare sotto l’orlo del velo delle nostre pie educatrici (vi siete mai chiesti come avevano i capelli le monache?); poi è arrivata la tunica della prima comunione, e adesso… ci ritroviamo a parlare di correre desnudi per la via. Abbiamo levato il velo, anche quello da sposa o di Santa Lucia; abbiamo scoperto la testa ed ora un simpatico cialtrone ci propone addirittura di fare il paio e gettare pure i pantaloni. Sorvolando sul fatto che non era necessario, questo consiglio, data la nostra moralità dai contorni indistinti, posso dire che, da un lato, trovo davvero ficco che le persone si scoprano. Forever and ever. Perché nascondersi? E per cosa, poi? Siamo umani, e come tali dobbiamo mostrarci agli altri, in modo tale che ognuno veda le proprie bassezze alla luce del sole e si senta un po’ meno cacchetta.
D’altro canto, se si parla di bassezza non posso fare a meno di volgere lo sguardo ai piani bassi e mi chiedo come mai sia successa questa cosa strana, di essere educati per benino e poi rivelarsi bagascioni d’incredibile portata.
Forse non eravamo portati per la santità. Forse levarsi di dosso tutti i vestiti è stato un modo per distrarre l’attenzione degli altri, e far sì che non si avvicinassero troppo al nostro cuore.
Forse, più semplicemente, non siamo tanto peccatori. Che colpe sussistono nel voler amare ed essere amati? Probabilmente solo quelle del deprimersi, del mangiare fuori orario ed essere un po’ scortesi con tutti prima delle nove del mattino.
E’ bello pensare d’aver tolto degli abiti ed aver scoperto che, sotto, c’è una persona non proprio disprezzabile. Un giorno, la nostra autostima di persone umane arriverà ad un livello tale che correremo in canottiera e basta attraverso la piazza

E poi ci incontreremo dove fanno il TSO.