martedì 25 marzo 2014

To be or not to be




Quando, nella vita, qualcosa va storto, ci ritroviamo a borbottare frasi che, in teoria, giustificano la sfiga o ci consolano un po’.
Non era il momento giusto.
Non sono contenta di come è andata, ma…
Forse non è destino.
Non sarà la fine del mondo!
Sapete cosa si sente, di queste frasi? Solo la negazione. Non era, non sono, non è, non sarà.
Scuse.
Tutte scuse.
Il nostro cuore lo sa benissimo cosa E’ la realtà: solo che ci piace illuderci.
Io, per esempio, mi illudo che qualche grande casa editrice noti il mio blog poverello e mi proponga un contratto da un milione di dollari. Proverò a impegnarmi e a evitare la negazione: E’ impossibile che ciò avvenga. Devo impegnarmi di più. Allora sì, forse potrei pubblicare. Ma è difficile che succeda a meno che IO non lo faccia succedere (quest’ultimo “non” era inevitabile, per cause di forza grammaticale maggiore!).
Ecco il punto: ci trastulliamo ogni giorno con l’idea di quello che potrebbe essere, che dovrebbe accadere… e se poi non è, non accade, piangiamo.
Con gli uomini e con gli amici è la stessa cosa. Paragonerei le due situazioni alla caduta di un fulmine: uno spettacolo affascinante, potente, spaventoso, di cui, ai bambini, si suole dire che non è niente.
Falso. Diamo alle cose il loro nome: una carica elettrostatica che distrugge tutto ciò su cui si abbatte, producendo un fragore di terremoto, è un fulmine.
Una storia d’amore in cui non c’è più amore è finita.
Un’amicizia in cui solo uno dei due crede è patetica.
Lo so, fa spavento.
Ma è così. Il lampo balugina, noi c’incantiamo a guardarlo, poi il fulmine si abbatte rabbioso e non resta che raccogliere i cocci. C’è qualche occasione della vita in cui non accada? Per questo bisogna imparare sin da piccoli a chiamare le cose col loro nome, per capire meglio, abituarsi: in ogni caso, si soffrirà… meglio sapere a cosa si va incontro. Non serve a nulla chiudere gli occhi, non si evita il dolore girandosi dall’altra parte.
Si spreca solo tempo.
Ricordatevi: ci serve l’E’, non il NON E’.
-Ci vediamo la settimana prossima?
-Non so, ti chiamo io…
Di questa conversazione, bisogna tener conto solo del NON.

Altrimenti sarebbe… altrimenti sarebbe.

martedì 18 marzo 2014

Guardati e dillo: I like me



Chi mi ha conosciuto di persona, sa che la magrezza non è una delle mie caratteristiche prevalenti.
A volte, per consolarmi, mi immagino matrona di una tribù hawaiana, una di quelle che venera le donne grasse, e l’immagine , perlomeno, mi regala un momento divertente.
La realtà è che il problema è tutto nella mia testa: la bilancia della farmacia (sulla quale sono salita dopo vari appostamenti, quando in giro non c’era nessuno) mi ha detto che sono normopeso. A quel punto, mi è crollato il mondo addosso: anni e anni di paranoie straordinarie… non servivano. Non erano necessari, perché, se in alcuni periodi ero un po’ sovrappeso, per la maggior parte del tempo sono stata una persona normalissima.
E allora perché mi sono preoccupata così tanto? Perché lo specchio mi diceva cose diverse da quelle che potevo tranquillamente verificare osservandomi dal vivo? Se tutte le ragazze che conosco hanno lo stesso problema, e ce l’hanno, mi sento di dir loro qualcosina.
Siamo burrose e splendide, come suole affermare l’amica Mirella. A volte non siamo nemmeno burrose, ma comunque splendide. Perdiamo il nostro preziosissimo tempo a cospargerci di creme snellenti come se dovessimo passare dal buco di una serratura strettissima, e non ci rendiamo conto che quel buco di serratura è la nostra vita, e che nessuno ci passa agilmente: non sarà una crema a risolvere la questione.
Magari non sarà nemmeno la crema pasticciera! Ma la mia riflessione è: perché non accettare il fatto che siamo gnocche anche con qualche curva un po’ più accentuata rispetto alle tavole da surf che si vedono sui giornali? I difetti sono belli, mi sono sempre piaciuti… Ci danno modo di crescere, perché se ci manca qualcosa siamo costretti a notarlo, a indagare su noi stessi, a ricercare quel particolare che ci sfugge… Oppure, siamo costretti a farne a meno e a vivere un’esistenza dignitosa con ciò che ci è toccato.
A me sono toccate braccia da scaricatore di porto, capelli fiacchi, occhi da talpona e fianchi da gallinotta, e vi assicuro che vivo una vita molto più che dignitosa: dignitosa a bomba. Sì,  a ventotto anni, finalmente, riesco a dirmi: mi piace quello che ho. I like me. Chissenefrega del fianco da gallinotta… E’ un fianco, perdio, non è mica un corno in mezzo alla fronte! (Sarei carina in versione unicorno? O minipony?)
Trasportando la questione sul terreno uomini, cosa che mi infastidisce alquanto, vi posso garantire che quei beoti non fanno caso al braccio penzolante o al pelo superfluo: quando si arriva al momento X, a loro interessa solo una cosa, e non fa nulla se per arrivarci devono usare un tom tom da quanto siete larghe. Il loro problema non è trovare una donna figa, ma trovare una donna –anche se la frase poteva avere risvolti differenti. E con che criterio stabiliamo chi lo è e chi non lo è? Credo che, in certi momenti, un bel travestito sia più donna di me.
A ognuno piace qualcosa di diverso, ma siccome non possiamo conoscere i gusti di ogni singola persona che cammina sul pianeta, tanto vale darsi una calmata e piacersi. Uno lo nota, se ti fai schifo: meglio sistemarsi per benino, scegliere un vestito che ci faccia sentire al settimo cielo e, prima di uscire di casa, pensare a quanto è fico vivere. In questo modo, i chili di troppo dovrebbero risultare esaltati dalla nostra personalità travolgente.
E forse si rischia perfino di trovare un uomo che ha bisogno di indicazioni stradali.

Rimettetelo al mondo, babies.

martedì 11 marzo 2014

LA RUBRICA DELLE WEEKAVVENTURE


Torna a grande richiesta (mia) la Rubrica delle Weekavventure. Condividiamo con ironia le traversie di ogni giorno!

LUNEDì ho dovuto riportare in classe una delle mie giovani alunne a cui insegno italiano, perché non mi ascoltava nemmeno di striscio. E’ stata una dura lotta, ma se avessi ceduto a metà strada mi avrebbe guardato con lo stesso rispetto che un infante nutre per il proprio vasino. Ce l’ho fatta, tra lusinghe e minacce, sudando tanto che neanche una lezione di spinning…
MARTEDì ho incontrato la giovane alunna al supermercato. Mi è corsa incontro e ci siamo lanciate l’una nelle braccia dell’altra chiedendoci scusa reciprocamente e promettendoci amicizia eterna.
MERCOLEDì ho provato i bastoncini di salmone. Il merluzzo e il salmone sono la stessa cosa? Perché i bastoncini di salmone hanno lo stesso identico sapore degli altri. Ora, non so se il merluzzo risalga la corrente allo stesso modo del suo roseo amico affumicato, ma il mio palato ha gradito e mi è balenata l’idea che potrei dimagrire mangiando solo bastoncini rosa, d’ora in poi. (Quanti pesci in questo paragrafo! Provate a trovarli: oltre al salmone e al merluzzo ne ho inserito un altro a tradimento! Che mattacchiona che sono.)
GIOVEDì sono andata dalla sarta, le ho abbracciato le ginocchia e l’ho implorata di aiutarmi con il mio vestito da sposa. Dovrò combattere per le scarpe e per la pettinatura (non vorrei ritrovarmi con una cofana di sei metri e dei riccioli da quacchero sulle tempie) ma credo di averla convinta nel momento in cui l’ho messa al corrente dei miei quattro lavori precari e della mia forte miopia.
Altri direbbero semplicemente che le ho fatto pietà.
VENERDì ho guardato il film Ho voglia di te ed ho avuto un pensiero solenne per tutte le braccia rubate all’agricoltura che adesso lavorano nella cinematografia.
SABATO ho battuto il mercato –anche se detta così sembra che ne abbia ricavato del denaro facile. In realtà, ho speso qualche obolo per un adorabile vestitino: è incredibile quanta gioia mi dia l’acquisto di un abito così semplice, firmato AL..mani. Devo avere qualche problema mentale a riguardo, una specie di cleptomania sbagliata (visto che non so rubare… mannaggia. E sì che sono italiana…).
SABATO sera sono uscita con Yaa -che era di pessimo umore- Glade e Sole. Siamo finite in una pizzeria con Karaoke e l’umore di Yaia è definitivamente precipitato quando una coppia (intonata come un capannone pieno di asinelli affamati) si è massa a cantare ‘O sarracino.
DOMENICA ho mangiato tre pasticcini che erano una follia omicida di bontà; poi sono andata dai miei nipoti e abbiamo giocato al mimo per tutta la sera. Se dieci anni fa mi avessero detto che mi sarei ridotta così, non avrei creduto a una sola parola, però che forte sono al mimo?! Nessuno saprebbe battermi nell’imitazione di una giostra calcinculo.
Son soddisfazioni.


martedì 4 marzo 2014

ABITO DA SPOSA (ESAUSTA) CERCASI


Non lo credevo possibile, davvero, non lo credevo affatto possibile.
Ma… sì: alla fine, la follia da abito da sposa ha preso anche me ed ora sono in un mare di guai di chiffon.
La malattia me l’ha trasmessa mia mamma, è evidente, ma il contagio non è avvenuto repentinamente. No. La cosa si è infilata subdola nella mia tranquilla esistenza, mi ha limato ai fianchi per mesi ed infine… BAM ! Dieci giorni fa circa sono crollata.
Vuoi perché ero ammalata sul serio, quindi debilitata, debole nel corpo e nello spirito, vuoi per una remora mia nel dire No a mia madre, piissima donna: fatto sta che ho detto yes al primo atelier e da allora è una lotta col coltello tra i denti per non lasciarmi convincere a comprare un vero “vestito da sposa”.

Perché io, ragazzi e ragazze, non sono così, non sono SPOSA. Non mi si addice l’abito di una tinta candida: a me questo aggettivo fa venire subito in mente una malattia venerea. Non indosserò mai una di quelle mongolfiere ribaltate e rivestite di raso: va bene che è carnevale, ma per maggio vorrei essere uscita dal tunnel.
Dico queste cose con il massimo rispetto nei confronti di chi ha scelto quella che io ho definito mongolfiera ribaltata. Ognuno ha il sacrosanto diritto di mettersi addosso ciò che preferisce nel giorno del suo matrimonio, così come in ogni altro giorno della propria vita. Detto questo, ora vi faccio l’elenco dei modelli che ho provato io e del perché adesso mi sento male.
Abito a sirena. L’ho provato per far piacere al mio futuro marito. Lui, pur essendo architetto, non ha la minima idea di cosa sia la regola aurea che stabilisce le giuste proporzioni di qualsiasi figura, altrimenti non avrebbe proposto a una donna alta un metro e una gatta di polvere di infilarsi un vestito adatto solo al corpo della Nike di Samotracia. Comunque, l’ho fatto lo stesso, mi sono strizzata fino all’inverosimile ed il risultato allo specchio era pari alla resurrezione di Lazzaro: sembravo una mummia di pessimo umore invecchiata di cinquant’anni.
Abito corto: l’unico che mi abbia dato un po’ di soddisfazione. Alcuni però eran così gonfi che avrei potuto spiccare il volo alla prima brezza di primavera. Ok nascondere i fianchi, ma non voglio sembrare un bignè viola.
Abito alla Kate Middleton. Maniche in pizzo, gonna a trapezio. Velo. Glade mi ha detto che sembravo Santa Lucia.
Abito con scollo all’americana. Voi tutti sapete quanto io sia carente di senato, sul davanti del mio petto. Bè, posso assicurarvi che lo scollo all’americana imbottito fa miracoli. Anche troppi. Mio padre si è spaventato e ho dovuto toglierlo in gran fretta.
Abito in stile impero. Sembravo gravida.
Abito romantico con capello appositamente raccolto dalla commessa: mi mancava solo l’aureola. La mia espressione nauseata ha rovinato l’effetto, sicuro.
Abiti colorati: ne ho provati di Armani, di Alberta Ferretti… naturalmente, in un outlet. Uno mi stringeva sulla pancia, un altro era troppo sbracciato…
Insomma, a quanto pare, per ora l’abito dei miei sogni esiste solo nella mia testa e su un foglio stropicciato. Forse mi interessa poco di ciò che indosserò mentre sposo l’uomo perfetto che è l’architetto sexy, o forse mi interessa troppo!
Ma ecco che mi chiamano… è la sarta…
Chi vivrà, vedrà.