martedì 27 gennaio 2015

Percentuale cuore-cervello



Dicono che noi umani usiamo solo il 10 % del nostro cervello.
Forse è meglio così.
Ma quanto usiamo del nostro cuore? Secondo me, nemmeno uno zerovirgolacinque per cento, perché è lui che usa noi, a suo piacimento.
E quante ce ne fa passare!

Problemi, problemi, il cuore dà sempre problemi: anche nelle situazioni in cui si crede di avere il controllo totale, arriva un soffio, un tuffo, un’aritmia, un colpo… ed è il cuore a comandare, di lì in avanti. E’ come cavalcare un cavallo che ha deciso di andare per la sua strada. Impossibile domarlo.

Io e le mie giovani, balde socie pensiamo decisamente troppo; forse è per questo che poi ci ritroviamo a vivere crisi emotive di portata cosmica non appena succede un nonnulla. Per opposizione. Essere eccessivamente razionali ci fa sbarellare, a un certo punto.
Ed è così che, in settimana, abbiamo avuto ben due ritorni di fiamma (Glade e Yaia) e due depressioni pre-ciclo un po’ fuori stagione (io e Magg). Noi in ansia per i soldi, per la lavatrice che non funziona, per il lavoro… quelle altre due nel panico per gli ex… e il cervello che viene soppiantato a favore del rosso muscolo involontario, quello in mezzo al petto, un po’ a sinistra. Difficile regolarsi, quando a governare la situazione è un muscolo che va da solo.

Una buona idea, mi hanno detto, sarebbe respirare. Ricordarsi di farlo. E poi scrivere. Buttare tutto fuori è terapeutico. Scrivere è una delle poche cose che unisce cervello e cuore e li esalta e li annulla tra loro.
Esiste un altro noto metodo utile a liberare la mente, ed è consigliabile soprattutto per coloro che hanno una relazione fissa e felice (poiché non creerebbe ulteriori problemi di cuore). Tale metodo risolve spesso le piccole questioni spinose in cui si incorre vivendo insieme ed alimenta di reciproca ammirazione e piacere il rapporto di coppia. Fatelo!
Avendo compiuto l’impresa di parlare di sesso con garbo e di non offendere nessuno con le mie parole sbragate e sobillatrici, vi saluto e vi fisso appuntamento per la settimana prossima.

Aloha! 

martedì 20 gennaio 2015

La fase 2


Prima o poi, nella vita, arriva per ognuno di noi la terribile fase 2.
In tutte le cose che si affrontano c’è un inizio, di solito entusiasmante e pieno di attese meravigliose per il futuro; c’è una fine, e di quella preferisco non parlare, anche perché la situazione si fa già abbastanza tragica nella parte in mezzo, quella tra l’inizio e, appunto, la fine, ed è la fase 2.

Di solito, quando cominci a leggere un libro vai via sciolta almeno per qualche pagina, anzi, magari vivi un momento di pura esaltazione “da consiglio”: qualcuno ti avrà detto leggilo, è bellissimo, io ci ho messo un giorno e mezzo a finirlo.
I passi successivi sono, rispettivamente: A) il libro piace anche a te e continui a leggerlo come se non ci fosse un domani; B) il libro non ti piace ma continui a leggerlo lo stesso, un po’ per orgoglio, un po’ per punirti di aver dato retta a un’amica dai gusti opposti ai tuoi; C) il libro ti fa schifo e lo molli.
La fase 2 è, di norma, il momento risolutivo di tante questioni, quindi il più sofferto. Come si fa a decidere di lasciar perdere un libro? Deve fare davvero pietà. Come si fa a decidere di chiudere una relazione? Stessa cosa.

Con le persone, poi, non è proprio la stessa cosa.
Vediamo: nella fase 1, l’amore e l’amicizia regnano sovrani e si vive per un tre-sei mesi sulla vetta del mondo.  Il domani appare come una passeggiata dentro il parco Sigurtà nel momento di massima fioritura e tu e l’altro siete le uniche presenze intelligenti e innamorate che abbiano mai calpestato il suolo di questo altrimenti ostile pianeta.
Fase 2: l’ostile pianeta reclama il suo prezzo da pagarsi alla cassa della vita e tutto il romanticismo finisce nell’orinatoio.
La storia, a questo punto, può: A) continuare con un minimo di bellezza e di poesia, ma solo perché i proprietari della stessa si sono incaponiti; B) continuare senza bellezza né poesia per lo stesso motivo di prima; C) finire.
Decidere cosa fare delle relazioni occupa di solito tutta la vita e non è certo facile come abbandonare un libro o spegnere la televisione.
I rapporti non si cancellano.

Le domande che dobbiamo porci nel corso della nostra esistenza sono un’infinità, ed alcune sono più leggere di altre.
Continuo la dieta? Sì. Sì, con dolore. No.
Mi compro un vestito nuovo? Sì. No. Non ho i soldi.
Cambio appartamento? Sì. Forse. Forse l’anno prossimo.
Altre domande, invece, pesano come un amico ubriaco.
Voglio figli? …
Li battezzo? …
Il lavoro…? …
I genitori? …
Lui, lei? …

Difficile. Difficilissimo.
Ma se non ti poni queste domande cosa sei? Un preadolescente senza spina dorsale? Uno che vive bene lo stesso? Nemmeno qui so rispondere.
So solo che, anche se cerchi di ignorarle, certe questioni ti tormentano per tutto il tempo in cui sei sveglio e anche mentre dormi, se non stai attento. La vita è impossibile ignorarla. E comunque si prenderà quello che, secondo lei, le spetta.
Tanto vale rifletterci su un po’ e cercare di tenere un pezzetto per noi.
In fondo, ce lo meritiamo tutti almeno un giorno di felicità.


martedì 13 gennaio 2015

A me gli occhi


Gli occhi mi sono sempre piaciuti.
Li ho truccati, dipinti su un muro, disegnati, toccati; li ho fotografati e amati –i miei, quelli degli altri, non importa.
Gli occhi sono come un faro.



Questo occhio qui ha origini fenice e fa molta impressione.
Sembra sbarrato, esaltato, sembra che possa scrutare attraverso la Storia.
I fenici lo tracciavano sulle loro imbarcazioni per tener lontani gli spiriti maligni.
Noi, oggi, gli occhi non li usiamo nemmeno per vedere la realtà.
Questa settimana vi lascio così: sono un po’ affaticata e non ho troppa voglia di pensare, ma se trovate dei begli occhi, per favore, perdete un momento ad osservarli e poi, magari, mandatemi l’immagine.
A me gli occhi!



martedì 6 gennaio 2015

Piromania dell'odiato passato




Oggi lo skyline tutt’intorno al paese sbuffava bioccoli di fuliggine ad ogni tre per due.
Chiaro: è il giorno in cui, da noi, si fanno i falò e si brucia la vecchia.
La cosa è motivo di esaltazione da parte di tutti i picciriddi della zona, ma pensiamoci bene: la Befana ha viaggiato attraverso i secoli nelle vesti di portatrice di abbondanza, buon raccolto e –non sottovalutiamoli- dolciumi, per poi ridursi ad un fantoccio inquietante con le calze della Parietti ed essere arsa sulla pubblica piazza solo per il bacchico godimento dei nostri fanciulli, malati di sanguinosi videogames?
(Come avrete capito, con l’anno nuovo non ho perso la causticità. Anzi, se possibile, sono peggiorata.)
Comunque. La povera Epifania, nata Diana, non merita un simile trattamento, ed è per questo che io partecipo alla cosiddetta viola soltanto per degustare scene di ubriachezza familiare (mio padre è addetto al brulè).
Però devo ammettere che dar fuoco alle cose vecchie ogni tanto dona soddisfazioni. E’ così bello gettare via vestiti smessi, o regalare quelli che non si mettono più per noia; dolce è il rumore della rottura dei piatti la notte dell’ultimo dell’anno, quando le famiglie più antiche del paese spaccano i servizi sbeccati buttandoli giù dal balcone; infine, non esiste parossismo più profondo di quello dato dal lasciarsi qualcosa alle spalle, di netto e per sempre.
Un lavoro di melma? Via!
Case piene di muffa? Trasferiamoci!
E che dire di relazioni malsane quanto un fungo sulle panchine di uno spogliatoio maschile? Al rogo!
Tanto, come afferma il giovane Zooey di Salinger, tra i dieci e gli ottant’anni non si cambia molto, quindi… vale la pena di rinnovarsi, perlomeno.
L’ansia ritorna, è vero, l’inquietudine di fondo rimane –anche perché l’abbiamo sempre avuta, tutti, non è così?
Ma che gusto, per una volta, dire addio al vecchio e sbombarsi di nuovo!

Venti novelli, ragazzi e ragazze, mettetevi a favore delle correnti frizzantine e aprite i giacconi, chè qua se arriva la Primavera e ci trova ancora rincoglioniti davanti alla vecchia che brucia (o impantanati con un lavoro, un uomo, un vestito che non ci soddisfano), quella gira i tacchi e fa un ciaòne mondiale a tutti.