Ho sempre
pensato che la luna di miele fosse un viaggio quanto meno sdolcinato e
detestabile.
Dico io: in
quale modo potranno mai passare il tempo due persone confinate su un’isola per
un’intera settimana senza doversi cucinare, senza pensare al lavoro e soprattutto
senza possibilità di fuga?
La risposta
era notoria, a tutti tranne che a me.
Ora che l’ho
provata, non posso dire che bene della luna di miele. Naturale: per
ventiquattr’ore al giorno si sta stesi su comodi lettini, o sotto il sole o in
conturbanti centri benessere; il cibo arriva in tavola come per magia e il
bagno si pulisce da solo mentre tu sei (mentre voi siete) a spasso nel cuore di un’antica città o a fare aperitivo
a bordo piscina.
Tuo marito è
sexarchitettizzato all’ennesima potenza e tu sei snella e depilata come
Charlize nella pubblicità di J’adore…
più o meno.
Questo, i
primi tre giorni.
Poi la dura
realtà torna ad insinuarsi nella quotidianità, a guisa di sabbia che ustiona le
piante dei piedi, si attacca alla pelle ed infine ti riempie le lenzuola, e
scricchiola, scricchiola, nel bel mezzo della notte. O come la zanzara battona
che scende in picchiata nel timpano, mentre dormi, e non perisce nemmeno se ti
auto-fustighi l’orecchio cento volte.
La verità
del viaggio di nozze è che ci si rilassa troppo, si abbassa la guardia, ed è l’
che cominciano i guai. Il pelo rispunta, timido ma deciso, il chilo trova il
suo spazio attorno al girovita –conseguenza della cucina servita e dell’open
bar-, i passatempi finiscono miseramente, e se nemmeno al Bazar hanno settimane
enigmistiche ci si ritrova a discutere sotto l’ombrellone per mascherare il
fatto che non si hanno più argomenti.
La cosa
bella, però, è che a nessuno dei due novelli coniugi importa molto dei peli,
del grasso in eccesso o dei bisticci da spiaggia: si è in luna di miele,
cribbio, e tutto ciò che conta è il colore degli occhi dell’altro al mattino,
al pomeriggio, alla sera… Un piccolo idillio, dove il cuore è finalmente al
posto giusto.