Oggi vi voglio
parlare di muri.
I muri sono
importanti nella nostra vita: ce li abbiamo intorno fin da quando nasciamo, li
compriamo, li buchiamo con i chiodi per attaccarvi il diploma e le foto di
famiglia… Quante volte ho fatto rimbalzare la palla contro il muro del garage
(per la gioia dei vicini)? E quante volte mi sono appoggiata al cruciale
muretto, da adolescente, sperando che la mia posa risultasse abbastanza
sbracata, ma anche elegante, ma anche indifferente, ma anche esplicita?
E, poi, ad un certo
punto, i muri te li ritrovi dentro. Tutti noi li coltiviamo come fiori, senza
accorgercene. Ma ci sono. Il cuore è come una Berlino in piena guerra fredda:
diviso, in sotterraneo fermento, controllato dalla dittatura delle nostre
paure.
Mi chiedo spesso da
che parte del Muro sarei stata, a metà anni Sessanta, se nel blocco sovietico o
nella metà occidentale. Da che parte sto quando penso a me stessa? Un colore
predomina, il rosso, e sento bello forte il mio ventricolo sinistro, però non
posso scegliere: ho bisogno di essere libera. Libera di andare e venire di qua
e di là dal muro, e di sfidare la paura, ogni tanto.
Per tutta la vita
siamo costretti a sentirci appellare con le più disparate etichette: dottore,
moglie, assessore, gay, slavo, bionda, cicciottello… E non lasciamo quasi mai
intendere quale sarebbe la risposta della nostra città interiore, se solo
avessimo il coraggio di farla emergere.
Se solo avessimo il
coraggio di ammettere come stiamo, se solo avessimo il coraggio di ribattere
alle ingiustizie e di dire la verità.
Non più tardi di
ventisei anni fa c’è stato qualcuno che ha buttato giù un Muro sotto la
minaccia delle armi. Noi non riusciamo nemmeno a nominare ad alta voce i nostri
problemi. Che degni eredi di quella conquista…
Mi ci metto dentro
anch’io, è certo.
Stringiamoci tutti
la mano da soli, diamoci una pacca sulla spalla e poi, per cortesia, facciamoci
un po’ di forza.
Che qui a furia di
pettinare le bambole ci scappa il morto per la noia.
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