martedì 27 agosto 2013

Montagne russe obbligatorie



Ovvero: Quando lo stress aumenta... aumenta!



”La vita è una cosa meravigliosa”, afferma il titolo di un film dei Vanzina di qualche anno fa. Ora, come tutti sappiamo, questa è una tenera bugia, poiché spesso la vita è meravigliosamente difficile e stressante.
Magari non ti succede niente di serio, magari stai solo vivendo, però un giorno tuo padre sale sulla bicicletta e cade dall’altra parte aprendosi in due il piede, il giorno dopo scopri che il duecentesimo curriculum spedito è caduto nel vuoto come tutti gli altri, il terzo giorno vedi i tuoi nipoti piagnucolare perché avreste dovuto andare in piscina insieme… e invece piove che Dio la manda. Sono piccole cose, ma fanno alzare i livelli di stress, così che ti ritrovi dallo stato serenità da inalazione di marijuna a quello cazzocazzocazzocazzocazzo. E l’architetto sexy non ti regge più.
In questo momento, per esempio, proprio mentre scrivo, c’è un colombo delle dimensioni di un tacchino appollaiato sulla ringhiera del mio terrazzo che mi fissa, mi fissa, e non favella. La sua presenza mi causa parecchio stress.

Che fare? Come evitare di essere ogni giorno “strizzati” come fazzoletti sporchi dalla vita? La pressione, la torsione e l’asciugatura ad alta temperatura non fanno bene ai vestiti, figuriamoci che effetto hanno sulle persone, decisamente meno resistenti di jeans e magliette. Dallo strizz allo straaap il passo è breve, si sa, e, dopo, ricucire i lembi non è sempre facile.
Sentire stress è come trovarsi perennemente sulle montagne russe, solo che nella vita –ovvero quello spettacolare parco di divertimenti senza uscita- sballottamenti e paure indescrivibili sono all’ordine del giorno, costanti, inevitabili; non si può scendere dalla giostra, non si può nemmeno urlare dallo spavento e si è ammessi alle attrazioni più pericolose anche sotto il metro d’altezza, ben prima dei dieci anni. Che goduria!
La vita, insomma, è un rollercoaster obbligatorio. L’unica è ritagliarsi dei momenti in cui sfogare lo stress prima che ci scoppi il cuore.

Uno dei miei trucchi antistress preferiti è cucinare con musiche anni Settanta sparate ad alto volume per tutto il condominio. Per me, quando si avvicina l’ora di cena è sempre una grande gioia, non solo perché sono consapevole del fatto che mangerò come se non ci fosse un domani, ma anche perché maneggiare ingredienti, pentole e pattine ha su di me un effetto calmante e gasante allo stesso tempo. Forse, sfornare piatti liberà la mia creatività repressa e mi dà modo di realizzare almeno una cosa nel corso della giornata. Fare ciò sulla base di I love Radio Rock , inoltre, mi fa sentire una pervertita del raviolo, una casalinga d’altri tempi a cui, però, è concessa una botte di libertà in più rispetto al passato.
E beccati questa, colombo inquietante.

Un altro straordinario antistress è guardare lontano, di sera, quando sta per piovere e tutto interno le nuvole lampeggiano arrabbiate e noi siamo lì, sicuri, leggermente elettrizzati dalla nostra completa solitudine in mezzo a tutto quel magnetismo naturale. E’ in momenti come questo che ci si rende conto della propria piccolezza, ma anche del fatto che siamo tutti uniti sotto lo stesso cielo, a condividere la stessa fifa per l’ignoto che ha portato i Greci a dare un nome umano ai fulmini, così come a tutte le altre meraviglie della natura e della vita.

Meraviglie… Cercavo una parola con un’accezione un po’ più negativa, ma mi è venuta questa. Stai a vedere che avevano ragione i Vanzina. Eppure è così difficile, a volte, andare avanti, salire sulla giostra… Secondo me, un terzo trucco ci sarebbe, anzi, c’è: solo, lo sfruttiamo troppo poco.
Ve lo spiegherà bene Hamingway nel film Midnight in Paris, di cui vi lascio il frammento incriminato da visualizzare qui sotto. Very, very recommended!


martedì 20 agosto 2013

Consigli non richiesti

Regola numero uno dell'essere amiche


Video: uno Zero a chi non è mio Amico!


Sabato mattina ho accompagnato Yaia in un negozio di scarpe.
La mia amica aveva un vestito rosa cipria a cui trovare le giuste compagne d’avventura sotto forma di sandali o décolleté, ma è stata un’ardua impresa ottenere ciò che volevamo. Causa: i consigli non richiesti della commessa.
E’ vero: lei, responsabile di un negozio di calzature, in teoria ne sa più di noi. Quello che non concepisco è il motivo di tutti quegli sguardi sarcastici e del rifiuto –non ci crederete mai- di far provare a Yaia dei modelli che lei, come cliente, aveva tutto il diritto di vedere.
Questa situazione mi ha fatto pensare ai maledetti consigli non richiesti che spesso fornisco, in completa scioltezza, alle mie amiche e sorelle. Io, da brava femminista ed ex liceale classica, ho un’opinione a volte troppo netta (a volte brutale) su ogni cosa, e, con gli anni, ho imparato ad esprimerla. Credevo di farlo con tatto e a beneficio delle persone a cui mi rivolgevo. Sbagliavo, dal momento che i miei suggerimenti non richiesti sono sempre sfociati in un caso di Stato, una tragedia familiare, un totale massacro. Inoltre, riconosco la scarsa utilità del mio comportamento: fidanzati sbagliati, guzzamici e amiche stronze hanno continuato a circolare nella vita delle mie confidenti nonostante i miei consigli di drastica pulizia, con il solo risultato che l’amica stronza, alla fine, lo diventavo io.
Lo schema si è ripetuto anche con le scarpe di Yaia: alla fine, lei ha scelto quelle che più le piacevano, e non le preferite della commessa. Ce ne siamo andate dal negozio con un senso di potere mai visto.
Se le mie amiche provano lo stesso quando vanno contro i miei avvertimenti, qui c’è qualcosa da rivedere e da rifare. Mea culpa.

Quello che dico io è: cerco solo di essere onesta. Come faccio a capire quando l’onestà offende chi mi ascolta e quando, invece, serve assolutamente? E’ una questione di diplomazia o di falsità? E comunque, è così sbagliato tentare di far aprire gli occhi a qualcuno che li ha offuscati da infatuazione, sesso, paura?

Glade qualche tempo fa mi ha fatto capire con uno sguardo che stavo sbagliando il mio approccio alla disoccupazione. Venerdì sera, per la prima volta, in compagnia di un’amica nuova che chiameremo Sole, ho ammesso la mia condizione. Le amiche servono. Proprio come le commesse. Bisogna trovare il modo, ma parlare è necessario.
E’ la regola numero uno dell’essere amiche.
Serve a difendersi dalle incursioni di popolazioni stravaganti come quella maschile, e a scegliere le scarpe giuste da abbinare a un vestito rosa cipria. Entrambe attività di discreta importanza. 

martedì 13 agosto 2013

Qualcosa da offrire




Ci sono persone che hanno qualcosa, persone che entrano in una stanza e la invadono con un’aura pazzesca, che è quasi un odore.
Non sono donne particolarmente belle, non sono uomini vestiti particolarmente bene, ma non si può fare a meno di voltarsi a guardarli.
Queste persone, se si ha l’ardire di andare a conoscerle, segnano per la vita, ed anche se non le si rivedrà mai più esse avranno  offerto qualcosa di inestimabile, una lezione, una parola nuova, che ogni tanto verrà usata per rendere meno dura e meno amara l’esistenza da homo sapiens sapiens che conduciamo.
Per nostra fortuna, persone così si incontrano tutti i giorni, perché ognuno ha qualcosa da offrire. Bisogna solo aprire bene gli occhi, e, soprattutto, capire cosa abbiamo da offrire noi.

Ora come ora, sono in ferie forzate, se capite l’eufemismo.
E’ la prima volta che mi capita, da quando mi sono laureata, di trovarmi senza un contratto. Ventisei mesi filati da lavoratrice, al giorno d’oggi, sono un record, specialmente se sei appena uscito dall’università.
Quindi mi ritengo fortunata. Me la sono sempre cavata, sarà così anche stavolta. Tante persone vicine a me, però, non sono altrettanto ottimiste.
“E adesso, cosa pensi di fare?” è la domanda più diffusa. E la più indesiderata. Chiedere a un disoccupato cosa pensa di fare è come ricordare a un condannato a morte che gli restano pochi minuti di vita. Magari non è vero, ma la sensazione dell’interlocutore è la stessa –parlo per esperienza personale.
“Forse non stai cercando davvero…”, ecco un’altra sentenza da evitare quando ci si trovo al cospetto di persone che hanno appena perso il lavoro. Vi assicuro che, dopo quindici giorni di spiccioli e notti in bianco, la ricerca diventa più che reale. Anche troppo.
Infine, un cordiale saluto con gesto abbinato a tutti quelli che sfottono e/o infieriscono sulla momentanea “vacanza”: noi disgraziati nullafacenti non siamo ammessi, se non con scherno, alle conversazioni che includono le parole collega, ufficio, pausa pranzo e stipendio, e quando andiamo due giorni al mare siamo apostrofati come spreconi o come se dovessimo trascorrere ogni singolo secondo della vita –diurna e notturna- pensando alla nostra situazione (cosa che, in realtà, facciamo già).
Alla frustrazione si aggiunge, giorno dopo giorno, la rabbia, alla rabbia la certezza della sconfitta. Facile deprimersi o diventare rancorosi, disillusi, ulcerosi, eremiti, invidiosi, pazzi.
Una vita non sta bene da sola, a casa, senza far niente; figuriamoci se le viene rinfacciato di provocarsi tale condizione da sé.

Eppure io non demordo. Non voglio essere aspirata nel vortice, e infatti non riesco ancora a definirmi disoccupata. Se mi chiedono cosa faccio, dico che ho da poco terminato un incarico, anche se il poco si tramuterà a poco a poco in un mese, poi in due e alla fine dovrò ammettere che non ho un’occupazione.

La cosa strana è che ieri notte ho visto le stelle cadenti e non ho espresso alcun desiderio riguardante il lavoro. Non ho espresso alcun desiderio, punto e basta. Ero con i miei amici, la mia dolce metà, un bicchiere di vino e l’idea del blog che mi frullava per la testa. Niente di meglio. Si sa, la vita reale non può essere una perenne serata col naso all’insù, ma non può nemmeno consistere in un cartellino, un’abitudine, una immobilità grigiastra. Non per me. Il lavoro è una cosa così importante, che deve per forza coincidere con la nostra essenza: non si tratta tanto di trovare un’occupazione, quindi, ma di dare un senso a quello che facciamo durante il viaggio. Io posso offrire questo. Una notte felice. Amicizia, amore. Qualche parola da leggere. Se queste cose non valgono niente a livello economico, pazienza: è un problema mio e di come sono nata!

Ho deciso: d’ora in poi, quando mi chiederanno cosa sto facendo, risponderò che, purtroppo o per fortuna, sono libera.