Indossare poca stoffa non vuol dire averne meno nel carattere
Guardatela.
Quant’è intelligente? Sexy?
In gamba?
Nel 2013, la minigonna ha
compiuto cinquant’anni e si è guadagnata il titolo di MILF più famosa, più
irriducibile, più ribelle della storia della moda.
Facendo un giro al mercato,
sabato mattina, ho visto che stanno tornando in auge le gonne lunghe,
svolazzanti, da gitana: una l’ho comprata, tanto per adiuvare l’economia. In
un’epoca in cui tutto si accorcia sempre più, diventando subitaneo, vicino,
verosimile –in maniera quasi fantascientifica-, sui banchi degli amici cinesi e
nelle fila dell’abbigliamento da grande magazzino compaiono abiti allungati che
sfiorano la terra, suggestivi simboli di una libera scelta: quella di tornare a
coprire le gambe.
Nel 1963, però,questa
straordinaria possibilità era ancora un miraggio, e così si pensò bene di
iniziare dal basso (è sempre da lì che bisogna partire per ottenere grandi
cose) e di tirare su l’orlo delle gonne.
Più su.
Più su.
E, a mano a mano che la
tensione –sartoriale e sociale- cresceva, ogni centimetro di pelle acquistava
nuove prospettive e valori aggiunti.
Le caviglie non erano più
solo un punto di snodo tra gamba e piede che permetteva alle casalinghe di
spostarsi velocemente da camera a cucina, ma diventavano interessanti
protuberanze attira-sguardi e attira-pensieri; i polpacci smisero di ricoprire
soltanto il ruolo di muscoli utili all’ascesa delle scale condominiali ed
acquisirono quello di cuscinetti curvilinei esageratamente affascinanti, fondamentali
anche nello sport e nell’azione di dare un calcio in culo agli uomini
sbagliati; le ginocchia denudate, un tempo angoli di un tavolino su cui
venivano sculacciati i bimbi, insinuarono in molti male men l’atroce dubbio che anche le donne, sotto la carne (nido
di tante gravidanze, garanzia di perpetrazione della specie), avessero qualcosa
di simile a ciò che gli stessi uomini avevano e mostravano con orgoglio virile:
ossa.
Le cosce, infine, passarono
da anticamere proibite del piacere a ben visibili motivi di preoccupazione per
molti papà e per tutti i fidanzati sixties.
L’articolo dedicato alla
minigonna su Vogue di maggio mi ha
fatto pensare alle ragazze degli anni Sessanta e a quanto dev’essere stato
eccitante e drammatico vivere la propria giovinezza in quel periodo pieno di
cambiamenti non sempre agevoli. Trovo geniale che Mary Quant e Courrèges
abbiano inventato un indumento davvero “mini” quando, in contemporanea, si
cercava di smantellare l’idea che tutto ciò che competeva all’essenza di una
donna dovesse essere piccolo, ridotto. Come se la donna stessa dovesse
adeguarsi a pensarsi così, mini, di scarsa importanza. Dalla casa, mondo intimo
e ovattato, alla cerchia di amicizie (tutte signore della buona società,
perbene, istruite a compiacere il maschio), passando per pannolini, ciucciotti
e giocattoli piccini picciò, fino agli ani Sessanta l’universo femminile finiva
a pochi passi da una culla o da un fornello, e i gonnelloni lunghi
intralciavano sicuramente i movimenti. Anche quelli femministi.
Mary e André, allora, hanno
fatto all’umanità il grande regalo di liberare le gambe delle donne, dandoci da
indossare qualcosa che fosse deliberatamente
mini: una gonna, oggetto femminile per eccellenza –ai minimi termini, però, e
che termini!
Grazie ai pantaloni di Coco
Chanel, le pioniere del fashion e le paladine dei nostri diritti hanno voluto
mostrarsi alla pari degli uomini, pratiche e sicure come loro.
Con la minigonna, esse si
sono ri-scoperte Altro dagli uomini, capaci di camminare con le proprie gambe -che
fossero arti lunghissimi, in carne, pallidi o neri, poco importa. L’importante
è che la moda si sia diffusa e che abbia contribuito all’emancipazione.
Quando indosso una
minigonna, mi sembra di sentire tra la pelle e il tessuto il vento caldo e
fervido della rivoluzione dei costumi e di vedere mucchi di visi sconvolti, sui
quali si leggono castighi, giudizi, insulti. Nel 1963 coloro che si mettevano
la mini erano considerate delle rosalinde suffragette poco di buono; nel 2013
non è cambiato molto, ma almeno siamo libere di scegliere il nostro look, così
come la direzione da dare alle nostre vite, e una spanna in meno di stoffa non
significa che ne abbiamo meno nel carattere.
Chi se ne frega se qualcuno
ci guarderà storto o troppo: noi sappiamo cosa si prova a portare la sottana, e
chi ci critica, forse, lo fa solo perché vorrebbe portarla anche lui.