lunedì 4 marzo 2013

Single dentro

Sottotitolo: Una bellissima ninfea



Alzi la mano chi di noi non si sente single dentro. Almeno un po’. Almeno uno o due giorni all’anno.
Consolatemi: chi di voi si sente single dentro almeno un o due giorni…al giorno?!
Non fraintendiamoci, chi mi conosce sa che ho per le mani un grande amore (si pensa sempre che sia così, se no perché sforzarsi tanto?) e che non me lo lascerei scappare per tutte le gemme del mondo (l’oro è svalutato, al momento).
Cosa voglio dire, allora, quando mi definisco “single dentro”? Per me, single è sicuramente far festa, tirar tardi, mangiare e bere e altre cose che vengono di norma associate alla vita da single. Non credo di stupirvi, però, se vi confido che l’unica differenza tra me e una donna single è che io sono certa della faccia che avrà il mio partner stasera. Del doman non v’è certezza.
Per il resto, chi ha detto che una ragazza fidanzata non possa dedicarsi alle medesime attività cui si dedicano le amiche sfidanzate? Io ritengo con forza che sia necessario il recupero, da parte delle donne impegnate (…che modo di definirsi, poi…), della propria libertà e del diritto di continuare a condurre una vita divertente e intensa anche dopo l’incontro con l’amore.
Odio quelle coppie che, una volta ufficialmente formatesi, si impacchettano e si spediscono a casa per il resto dei loro giorni, dimenticando gli amici, lo sport, l’arte, la cucina giapponese, le vacanze di gruppo e, in pratica, il resto del mondo. Questo può andar bene per i primi tempi, quando ti sembra che non ci sia niente di male nel conformarti completamente allo stile di vita e a qualsiasi altra cosa riguardi l’altro, anzi, ti sembra l’unico modo di vivere. D’altronde, le donne vengono da secoli e secoli di educazione alla filosofia della rinuncia: ancora oggi siamo culturalmente spinte a pensare di doverci prendere cura del nostro compagno anteponendo i suoi desideri ai nostri (e ciò sarebbe buono se fossimo tutte lesbiche, perché in quel caso saremmo ricambiate per tutto il tempo in egual misura).
Io dico basta, basta, basta con questa solfa antidiluviana –e neanche poi tanto- che ci grava sulle spalle e da cui non riusciamo mai a svicolare, tranne che in quelle occasioni in cui , poi, veniamo etichettate come “strane”, “egoiste”, “libertine”, “cattive madri” e via discorrendo. Basta: è ora che i maschi imparino a prendersi cura di sé da soli e che la smettano di vederci come mamme sostitutive. E noi, che ci siamo sempre calate in questo ruolo, dobbiamo abolirlo e cominciare a vivere la nostra vita, non quella dei nostri compagni, fregandocene del lapidario giudizio che, come folgore dal cielo, ci colpirà attraverso gli sguardi disapprovanti di madri, suocere e uomini di altre generazioni.
Gli uomini, loro e noi, due pianeti diversi con differenti mentalità… non è vero! Siamo sullo stesso pianeta, anzi, sulla stessa piccolissima ed instabile barca; certo, abbiamo esigenze e sogni e pensieri e problemi che non sono gli stessi per tutte le persone, ma che non possono essere abbinati alla categoria uomini o a quella delle donne in maniera inopinabile!
In fondo, e qui si spiega perché io creda profondamente nella singletudine planetaria che caratterizza l’umanità, se siamo tutti alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, nel viaggio sulla piccola barca, o se abbiamo tutti –gira rigira, rema che ti rema,- le stesse speranze, è perché siamo soli, inesorabilmente e, devo dire, stoicamente. E’ il nostro destino di anime (non a caso in inglese si dice soul). La solitudine con cui siamo costretti ad affrontare il mondo, paradossalmente, ci accomuna nella lontananza. E sapete qual è, a parer mio, la vera differenza tra noi tutti? L’atteggiamento con cui naufraghiamo. Cattivo, indifferente, spensierato, buonista, fatalista, affamato, ansioso, curioso, disperato, lucido… E’ l’anima luccicante, stella della nostra vita, che si aggira tra le altre solitudini, le cerca, le sfiora, non le conosce mai, e poi, come una bellissima ninfea, si ferma a galleggiare sull’acqua, da sola. Per questo bisogna preparare l’anima, in qualche modo. Darle tasche e orli resistenti, come a un vestito. Impastarla bene, senza lesinare sui condimenti. Insegnarle a nuotare, o almeno a fare il morto (strana associazione di idee), in caso di ammaraggio forzato.
E se arriva il ranocchio che vuole saltarle sopra, ecco la risposta consigliata:”No grazie. Sono single dentro.”



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