Alzi la mano chi di noi non si sente
single dentro. Almeno un po’. Almeno uno o due giorni all’anno.
Consolatemi: chi di voi si sente single
dentro almeno un o due giorni…al giorno?!
Non fraintendiamoci, chi mi conosce sa che
ho per le mani un grande amore (si pensa sempre che sia così, se no perché
sforzarsi tanto?) e che non me lo lascerei scappare per tutte le gemme del
mondo (l’oro è svalutato, al momento).
Cosa voglio dire, allora, quando mi definisco
“single dentro”? Per me, single è sicuramente far festa, tirar tardi, mangiare
e bere e altre cose che vengono di norma associate alla vita da single. Non
credo di stupirvi, però, se vi confido che l’unica differenza tra me e una
donna single è che io sono certa della faccia che avrà il mio partner stasera.
Del doman non v’è certezza.
Per il resto, chi ha detto che una ragazza
fidanzata non possa dedicarsi alle medesime attività cui si dedicano le amiche
sfidanzate? Io ritengo con forza che sia necessario il recupero, da parte delle
donne impegnate (…che modo di definirsi, poi…), della propria libertà e del
diritto di continuare a condurre una vita divertente e intensa anche dopo
l’incontro con l’amore.
Odio quelle coppie che, una volta
ufficialmente formatesi, si impacchettano e si spediscono a casa per il resto
dei loro giorni, dimenticando gli amici, lo sport, l’arte, la cucina
giapponese, le vacanze di gruppo e, in pratica, il resto del mondo. Questo può
andar bene per i primi tempi, quando ti sembra che non ci sia niente di male
nel conformarti completamente allo stile di vita e a qualsiasi altra cosa
riguardi l’altro, anzi, ti sembra l’unico modo di vivere. D’altronde, le donne
vengono da secoli e secoli di educazione alla filosofia della rinuncia: ancora
oggi siamo culturalmente spinte a pensare di doverci prendere cura del nostro
compagno anteponendo i suoi desideri ai nostri (e ciò sarebbe buono se fossimo
tutte lesbiche, perché in quel caso saremmo ricambiate per tutto il tempo in
egual misura).
Io dico basta, basta, basta con questa
solfa antidiluviana –e neanche poi tanto- che ci grava sulle spalle e da cui
non riusciamo mai a svicolare, tranne che in quelle occasioni in cui , poi,
veniamo etichettate come “strane”, “egoiste”, “libertine”, “cattive madri” e
via discorrendo. Basta: è ora che i maschi imparino a prendersi cura di sé da
soli e che la smettano di vederci come mamme sostitutive. E noi, che ci siamo
sempre calate in questo ruolo, dobbiamo abolirlo e cominciare a vivere la nostra vita, non quella dei nostri
compagni, fregandocene del lapidario giudizio che, come folgore dal cielo, ci
colpirà attraverso gli sguardi disapprovanti di madri, suocere e uomini di
altre generazioni.
Gli uomini, loro e noi, due pianeti
diversi con differenti mentalità… non è vero! Siamo sullo stesso pianeta, anzi,
sulla stessa piccolissima ed instabile barca; certo, abbiamo esigenze e sogni e
pensieri e problemi che non sono gli stessi per tutte le persone, ma che non
possono essere abbinati alla categoria uomini o a quella delle donne in maniera
inopinabile!
In fondo, e qui si spiega perché io creda
profondamente nella singletudine planetaria che caratterizza l’umanità, se
siamo tutti alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, nel viaggio sulla piccola
barca, o se abbiamo tutti –gira rigira, rema che ti rema,- le stesse speranze,
è perché siamo soli, inesorabilmente e, devo dire, stoicamente. E’ il nostro
destino di anime (non a caso in inglese si dice soul). La solitudine con cui siamo costretti ad affrontare il
mondo, paradossalmente, ci accomuna nella lontananza. E sapete qual è, a parer
mio, la vera differenza tra noi tutti? L’atteggiamento con cui naufraghiamo.
Cattivo, indifferente, spensierato, buonista, fatalista, affamato, ansioso,
curioso, disperato, lucido… E’ l’anima luccicante, stella della nostra vita,
che si aggira tra le altre solitudini, le cerca, le sfiora, non le conosce mai,
e poi, come una bellissima ninfea, si ferma a galleggiare sull’acqua, da sola.
Per questo bisogna preparare l’anima, in qualche modo. Darle tasche e orli
resistenti, come a un vestito. Impastarla bene, senza lesinare sui condimenti.
Insegnarle a nuotare, o almeno a fare il morto (strana associazione di idee),
in caso di ammaraggio forzato.
E se arriva il ranocchio che vuole
saltarle sopra, ecco la risposta consigliata:”No grazie. Sono single dentro.”
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