Pasquetta, uguale:
uova sode e carte da gioco.
Briscola, Uno, Scala
Quaranta.
Poker.
Sotto il sole delle
due di pomeriggio, la metafora poker-vita è scontata… però, se fila!
Persone diverse si
siedono allo stesso tavolo e bluffano, non comunicano, cercano di portare via i
soldi agli altri. E’ perfetto.
Indossiamo tutti
degli occhiali scuri per non mostrare al mondo esterno quello che abbiamo
dentro, no? E siamo convinti che tutti vogliano fregarci. Così ci isoliamo, e
alla prima occasione lasciamo il gioco senza salutare.
Facile.
L’unico problema è il buio, all’inizio: quella puntata che
fai senza sapere come ti andrà la partita. C’è chi cade nell’ansia già da lì,
da quando tocca smollare le prime fiches. Immaginate il livello di caga che
raggiungono queste persone all’all in…
Ma c’è anche chi si
siede al tavolo da gioco solo per provare quella sensazione iniziale. Buio: ed
è tutta adrenalina che ti pompa nelle vene. C’è chi gioca soltanto per quel
momento in cui si entra ufficialmente in partita e non se ne esce senza aver
detto la propria.
Dicono che i veri
giocatori di poker non siano particolarmente interessati alla vincita, ma
all’atmosfera che si crea mentre cercano con meticolosa avventatezza di
arrivare a una qualche vittoria.
E noi non facciamo
lo stesso? Non siamo forse incoscienti esploratori della vita in cerca di
qualcosa che ci dia soddisfazione, tanto per allontanare il buio?
Forse non lo siamo
abbastanza.
Non riusciamo ad
accettare il fatto che, dal poker al Machiavelli alla vita, sia tutto un gioco.
Dell’atmosfera ce ne freghiamo. Vogliamo ad ogni costo arrivare, fare, avere…
Amici miei, alla
fine dei giochi la tavola si sparecchia ed ognuno torna a casa sua, questo è
quanto.
Se non ci si porta
via un bel ricordo della giornata, restano solo le uova sode avanzate. E
nessuno vuole mai andarsene con quelle.
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