Non lo credevo possibile, davvero, non lo credevo affatto
possibile.
Ma… sì: alla fine, la follia da abito da sposa ha preso
anche me ed ora sono in un mare di guai di chiffon.
La malattia me l’ha trasmessa mia mamma, è evidente, ma il
contagio non è avvenuto repentinamente. No. La cosa si è infilata subdola nella
mia tranquilla esistenza, mi ha limato ai fianchi per mesi ed infine… BAM !
Dieci giorni fa circa sono crollata.
Vuoi perché ero ammalata sul serio, quindi debilitata,
debole nel corpo e nello spirito, vuoi per una remora mia nel dire No a mia
madre, piissima donna: fatto sta che ho detto yes al primo atelier e da
allora è una lotta col coltello tra i denti per non lasciarmi convincere a
comprare un vero “vestito da sposa”.
Perché io, ragazzi e ragazze, non sono così, non sono SPOSA.
Non mi si addice l’abito di una tinta candida: a me questo aggettivo fa venire
subito in mente una malattia venerea. Non indosserò mai una di quelle
mongolfiere ribaltate e rivestite di raso: va bene che è carnevale, ma per
maggio vorrei essere uscita dal tunnel.
Dico queste cose con il massimo rispetto nei confronti di
chi ha scelto quella che io ho definito mongolfiera ribaltata. Ognuno ha
il sacrosanto diritto di mettersi addosso ciò che preferisce nel giorno del suo
matrimonio, così come in ogni altro giorno della propria vita. Detto questo,
ora vi faccio l’elenco dei modelli che ho provato io e del perché adesso mi
sento male.
Abito a sirena. L’ho provato per far piacere al mio futuro
marito. Lui, pur essendo architetto, non ha la minima idea di cosa sia la
regola aurea che stabilisce le giuste proporzioni di qualsiasi figura,
altrimenti non avrebbe proposto a una donna alta un metro e una gatta di
polvere di infilarsi un vestito adatto solo al corpo della Nike di Samotracia.
Comunque, l’ho fatto lo stesso, mi sono strizzata fino all’inverosimile ed il
risultato allo specchio era pari alla resurrezione di Lazzaro: sembravo una
mummia di pessimo umore invecchiata di cinquant’anni.
Abito corto: l’unico che mi abbia dato un po’ di
soddisfazione. Alcuni però eran così gonfi che avrei potuto spiccare il volo
alla prima brezza di primavera. Ok nascondere i fianchi, ma non voglio sembrare
un bignè viola.
Abito alla Kate Middleton. Maniche in pizzo, gonna a
trapezio. Velo. Glade mi ha detto che sembravo Santa Lucia.
Abito con scollo all’americana. Voi tutti sapete quanto io
sia carente di senato, sul davanti del mio petto. Bè, posso assicurarvi che lo
scollo all’americana imbottito fa miracoli. Anche troppi. Mio padre si è
spaventato e ho dovuto toglierlo in gran fretta.
Abito in stile impero. Sembravo gravida.
Abito romantico con capello appositamente raccolto dalla
commessa: mi mancava solo l’aureola. La mia espressione nauseata ha rovinato
l’effetto, sicuro.
Abiti colorati: ne ho provati di Armani, di Alberta
Ferretti… naturalmente, in un outlet. Uno mi stringeva sulla pancia, un altro
era troppo sbracciato…
Insomma, a quanto pare, per ora l’abito dei miei sogni
esiste solo nella mia testa e su un foglio stropicciato. Forse mi interessa
poco di ciò che indosserò mentre sposo l’uomo perfetto che è l’architetto sexy,
o forse mi interessa troppo!
Ma ecco che mi chiamano… è la sarta…
Chi vivrà, vedrà.
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