martedì 4 marzo 2014

ABITO DA SPOSA (ESAUSTA) CERCASI


Non lo credevo possibile, davvero, non lo credevo affatto possibile.
Ma… sì: alla fine, la follia da abito da sposa ha preso anche me ed ora sono in un mare di guai di chiffon.
La malattia me l’ha trasmessa mia mamma, è evidente, ma il contagio non è avvenuto repentinamente. No. La cosa si è infilata subdola nella mia tranquilla esistenza, mi ha limato ai fianchi per mesi ed infine… BAM ! Dieci giorni fa circa sono crollata.
Vuoi perché ero ammalata sul serio, quindi debilitata, debole nel corpo e nello spirito, vuoi per una remora mia nel dire No a mia madre, piissima donna: fatto sta che ho detto yes al primo atelier e da allora è una lotta col coltello tra i denti per non lasciarmi convincere a comprare un vero “vestito da sposa”.

Perché io, ragazzi e ragazze, non sono così, non sono SPOSA. Non mi si addice l’abito di una tinta candida: a me questo aggettivo fa venire subito in mente una malattia venerea. Non indosserò mai una di quelle mongolfiere ribaltate e rivestite di raso: va bene che è carnevale, ma per maggio vorrei essere uscita dal tunnel.
Dico queste cose con il massimo rispetto nei confronti di chi ha scelto quella che io ho definito mongolfiera ribaltata. Ognuno ha il sacrosanto diritto di mettersi addosso ciò che preferisce nel giorno del suo matrimonio, così come in ogni altro giorno della propria vita. Detto questo, ora vi faccio l’elenco dei modelli che ho provato io e del perché adesso mi sento male.
Abito a sirena. L’ho provato per far piacere al mio futuro marito. Lui, pur essendo architetto, non ha la minima idea di cosa sia la regola aurea che stabilisce le giuste proporzioni di qualsiasi figura, altrimenti non avrebbe proposto a una donna alta un metro e una gatta di polvere di infilarsi un vestito adatto solo al corpo della Nike di Samotracia. Comunque, l’ho fatto lo stesso, mi sono strizzata fino all’inverosimile ed il risultato allo specchio era pari alla resurrezione di Lazzaro: sembravo una mummia di pessimo umore invecchiata di cinquant’anni.
Abito corto: l’unico che mi abbia dato un po’ di soddisfazione. Alcuni però eran così gonfi che avrei potuto spiccare il volo alla prima brezza di primavera. Ok nascondere i fianchi, ma non voglio sembrare un bignè viola.
Abito alla Kate Middleton. Maniche in pizzo, gonna a trapezio. Velo. Glade mi ha detto che sembravo Santa Lucia.
Abito con scollo all’americana. Voi tutti sapete quanto io sia carente di senato, sul davanti del mio petto. Bè, posso assicurarvi che lo scollo all’americana imbottito fa miracoli. Anche troppi. Mio padre si è spaventato e ho dovuto toglierlo in gran fretta.
Abito in stile impero. Sembravo gravida.
Abito romantico con capello appositamente raccolto dalla commessa: mi mancava solo l’aureola. La mia espressione nauseata ha rovinato l’effetto, sicuro.
Abiti colorati: ne ho provati di Armani, di Alberta Ferretti… naturalmente, in un outlet. Uno mi stringeva sulla pancia, un altro era troppo sbracciato…
Insomma, a quanto pare, per ora l’abito dei miei sogni esiste solo nella mia testa e su un foglio stropicciato. Forse mi interessa poco di ciò che indosserò mentre sposo l’uomo perfetto che è l’architetto sexy, o forse mi interessa troppo!
Ma ecco che mi chiamano… è la sarta…
Chi vivrà, vedrà.



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