Ovvero: Bambine che leggono, bambine che capiscono
Al ginnasio,
quando la professoressa chiedeva una figura etimologica, tra i miei compagni ce n’era uno che rispondeva
sempre:”Vivere vitam”. A lui piaceva quella.
Io invece
avrei voluto rispondere:”Leggere un libro”, ma c’erano due problemi che
m’impedivano di farlo: la mia colossale ignoranza in materia di lingua latina
ed il fatto che la figura etimologica da me ideata era sbagliata. Avrebbe
dovuto suonare così, piuttosto: “Leggere una lettura”. Che però sarebbe
risultata più come una specie di tautologia. Infine, un ‘meno’ assicurato.
Ma per me è
la parola “libro” che sta alla lettura come la parola “vita” al verbo vivere.
Ed è un modus vivendi (poi ho recuperato, col latino) caratteristico di tutta
la mia esistenza, a partire dall’infanzia. Mi sono messa a pensare ai miei
compagnucci delle scuole elementari: leggevano quasi tutti. Ricordo un gran
rigiro di libri d’ogni genere, tra noi, e addirittura una mini biblioteca in
classe, posta dentro un armadietto in cui regnava il caos dell’intero universo.
Credo di aver sempre associato il concetto di “biblioteca” a quello spettacolo
della natura, per cui i bambini trattano i libri come cose vive. E la
situazione stava bene a tutti, femmine e maschi. Leggevamo le stesse storie:
non c’erano libri sul calcio per i maschi e sulla moda per le femmine. Siamo
passati tutti quanti per Pollyanna, Il giardino segreto, La piccola principessa, Capitani coraggiosi, Il richiamo della foresta, Ascolta il mio cuore ed altre decine di
titoli senza mai fermarci a pensare se fossero “da maschi” o “da femmine”.
Erano storie, e noi ne eravamo assetati.
Crescendo,
ho notato che la schiera dei lettori con il cromosoma ‘xy’ si sfoltiva
tristemente, benché –ne sono certa- non si trattasse di un fatto genetico. Il
primo che prova a dirmi: “Sai, è normale, le ragazze leggono di più perché ci
sono portate, è un’attività tranquilla che si può fare in casa e che si sposa
bene con la loro indole riflessiva”… lo ficco in un baule e lo spedisco in un
luogo esotico lontanissimo, come Edgar ne Gli
Aristogatti. La lettura non si addice alle donne perché sono più
tranquille: si addice loro perché, per lungo tempo, è stata l’unica cosa che
potevano fare solo per se stesse. Magari nascoste, magati velocemente e in
luoghi scomodi… sempre immaginando di tuffarsi in quelle avventure, di essere
l’eroe, di diventare, per un paio d’ore, qualcuno che vive davvero la propria
vita. La lettura era un’attività… nel senso che ci dava modo di essere attive,
nel momento in cui ci veniva richiesto di rimanere statiche. Fai la brava, ordinava il papà, e noi
…via, sotto le lenzuola con una luce da esploratore schiacciata in fronte, a
leggere Edgar Allan Poe fino alle due di notte, quando la paura e il sonno
prendevano un’unica rassicurante forma di guanciale.
Un’evasione
in piena regola, eppure ad ogni nuovo libro a noi sembrava di tornare dentro il
nostro vero “io”, di capire un po’ meglio chi eravamo e cosa volevamo fare della
nostra esistenza. Da qualche decennio, per fortuna, e grazie alle tante donne
che hanno combattuto per questo, i libri non erano più zeppi di modelli di
bambine e di ragazze per bene, votate al sacrificio e alla cura della famiglia.
Ora le protagoniste che incontravamo erano dinamiche, intraprendenti, forti e
creative, ei protagonisti, a volte, erano teneri, insicuri, emotivi. Quelle che
venivano considerate caratteristiche di un sesso o dell’altro si invertivano,
mischiavano, perdendo la loro peculiarità di genere.
Ed ecco che,
dalla lettura di Pippi, di Stargirl, di Violante e Cosimo mi sono uscite Yaia,
Glade, Maggiolina, Anita, Sole e tante altre, con lavori duri o senza lavoro
(altrettanto duro), legate alla famiglia, fuori casa, autiste arrabbiate di
lunedì mattina, cuoche nella media, ancora schiave dei tacchi e del make up, ma
lettrici, nonostante tutto.
Ci sarebbero
tantissime cose da dire sulle donne che conosco e sulle bambine che erano. Preferisco
però fermarmi a pensare a quanto erano forti e al fatto che, grazie a chi ha
messo loro in mano un libro, hanno sviluppato quell’animo indomito ch’era in potenza
nella loro personalità. Quanto a coloro che sono bambini e bambine adesso e a ciò che possiamo fare per loro, dico che a
scuola non c’è più l’armadietto pieno di libri: rimettiamolo. La sera, per far
addormentare figli e nipoti, non accendiamo la tv davanti ai loro occhietti
stanchi. Quello non è guardare veramente: è rimanere ipnotizzati. Perché non
accompagnare nel sonno una bambina leggendole una storia? Farà sogni
meravigliosi e domani, forse, avrà voglia di vivere la sua vita come la mamma
le ha letto il libro.
Ai
compleanni non si regalano più libri, ma giochi inutili che vengono accantonati
dopo pochi gironi: al prossimo compleanno, regaliamo a un bambino Zanna Bianca. Zanna Bianca è per sempre.
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