Alla fine di questa
settimana andrò alla tradizionale festa di classe che si tiene ogni anno nel
mio ameno paese.
Coa’è una festa di classe?
E’ una gaia rimpatriata tra persone che hanno la stessa età, rimpatriata dalle
seguenti caratteristiche: di anno in anno, i partecipanti si sfoltiscono e la
spensieratezza va a farsi benedire man mano che ci si guarda attorno nel
tavolo.
Perché, cari amici vicini
e lontani, quando si prende parte alla classe è logico tirare un po’ le somme e
prosi delle domande comode come un materassino sgonfio. Per esempio: la mia
annata è composta di un centinaio di persone, più femmine che maschi. Di queste
cento, una decina sono sposate. Mezza dozzina convive. Altre quattro o cinque persone
hanno perpetrato la razza “ottantaseina” con dei figli, tutte femminucce (girls
power continua). Un terzo di noi sono laureati. Di metà, non ho notizie certe.
Ora, prendete una manciata
di trenta persone nel mucchio che vi ho descritto, gettatela in un ristorante e
buttate via la chiave per un’intera serata. Cosa diavolo può succeder?
Oddio, il peggio è che ci
ignoriamo o che un capo del tavolo spettegoli dell’altro capo mentre la cena è
ancora in corso. Il meglio è che ci si diverta e si faccia nostro il motto La classe non è acqua, ma vino, come
spesso è accaduto nelle edizioni precedenti. Il top dovrebbe raggiungersi con
il canto dell’antico ritornello che chiama ad alzarsi le persone nate in
gennaio, poi in febbraio, poi marzo… fino ad arrivare a dicembre,
costringendole a omaggiare il coro con un brindisi (eufemismo). Dopo due giri di questa canzone, il ritornello
diventa un rintronello e si alzano a febbraio anche quelli nati a ottobre.
Per prepararsi a una
serata così, bisogna superare anni e anni di complessi adolescenziali nei
confronti delle ragazze magre e, in generale, dei ragazzi. I complessi relativi
ad essi si possono facilmente risolvere pensando che a loro non importa un
calippo di niente se una è gnocca o no: il requisito essenziale è che sia una
donna, per tutto il resto ci sono i porno.
Quanto alle magre, rimedieremo
con dei vestiti carini e con dei mantra interiori che ci costringeranno a
sorridere e salutare e dire, con la faccia di bronzo:”Anche tu qui! Ti trovo
bene!”, mentre rimpiangiamo di aver lasciato a casa un cuscino adatto al
soffocamento.
Bene, e cosa ci diremo per
tutta la sera? Da raccontare non c’è moltissimo: se resti in paese, la tua vita
è di dominio pubblico, manco fossi Belèn (magari fossi Belèn). Forse è per
questo che si beve molto: per superare l’imbarazzo.
No. Io credo che si beva
molto perché per una maledetta volta, nella maledetta vita, magri o grassi,
ricchi o disoccupati, sposati o single, ci si ritrova tra facce conosciute, tra
amici: quelli della classe sono gente che vedi da quando la mamma ti allacciava
ancora le scarpe e con cui hai condiviso maestre, bravate, aranci e limoni (mi
sembrava brutto scrivere solo limoni). Andare alla classe è una garanzia di
divertimento, almeno per qualche ora, almeno per una notte; la situazione ha
del tragico, se si contano i dispersi e si pensa che è già il decimo compleanno
della festa, ma anche del comico e del romantico, considerando gli aneddoti
degli anni passati e i ritorni in autobus mano nella mano con chi non ti
aspettavi. La prima volta che sono stata alla classe non era fidanzata con
l’Architetto Sexy e così ho flirtato per tutto il tempo con un ragazzo, ma alle
quattro di mattina, in viaggio verso casa, mi sono alzata dal mio sedile ed ho
cercato lui, mio marito. Era uno straccio, come tutti d’altronde, ma io mi sono
seduta lì accanto e forse è stato allora che mi sono chiesta:”Sarà solo un
amico?”.
La classe, insomma, è un
salutare bagno nel passato che ti fa capire un po’ di più chi sei e dove
diavolo stai andando, in un catartico momento di convivialità estrema insieme a
qualcuno che non ti rinfaccia la sbronza, il giorno dopo.
Niente da dire: che
classe, il 1986.
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