martedì 4 novembre 2014

Che classe!



Alla fine di questa settimana andrò alla tradizionale festa di classe che si tiene ogni anno nel mio ameno paese.
Coa’è una festa di classe? E’ una gaia rimpatriata tra persone che hanno la stessa età, rimpatriata dalle seguenti caratteristiche: di anno in anno, i partecipanti si sfoltiscono e la spensieratezza va a farsi benedire man mano che ci si guarda attorno nel tavolo.
Perché, cari amici vicini e lontani, quando si prende parte alla classe è logico tirare un po’ le somme e prosi delle domande comode come un materassino sgonfio. Per esempio: la mia annata è composta di un centinaio di persone, più femmine che maschi. Di queste cento, una decina sono sposate. Mezza dozzina convive. Altre quattro o cinque persone hanno perpetrato la razza “ottantaseina” con dei figli, tutte femminucce (girls power continua). Un terzo di noi sono laureati. Di metà, non ho notizie certe.
Ora, prendete una manciata di trenta persone nel mucchio che vi ho descritto, gettatela in un ristorante e buttate via la chiave per un’intera serata. Cosa diavolo può succeder?
Oddio, il peggio è che ci ignoriamo o che un capo del tavolo spettegoli dell’altro capo mentre la cena è ancora in corso. Il meglio è che ci si diverta e si faccia nostro il motto La classe non è acqua, ma vino, come spesso è accaduto nelle edizioni precedenti. Il top dovrebbe raggiungersi con il canto dell’antico ritornello che chiama ad alzarsi le persone nate in gennaio, poi in febbraio, poi marzo… fino ad arrivare a dicembre, costringendole a omaggiare il coro con un brindisi (eufemismo).  Dopo due giri di questa canzone, il ritornello diventa un rintronello e si alzano a febbraio anche quelli nati a ottobre.
Per prepararsi a una serata così, bisogna superare anni e anni di complessi adolescenziali nei confronti delle ragazze magre e, in generale, dei ragazzi. I complessi relativi ad essi si possono facilmente risolvere pensando che a loro non importa un calippo di niente se una è gnocca o no: il requisito essenziale è che sia una donna, per tutto il resto ci sono i porno.
Quanto alle magre, rimedieremo con dei vestiti carini e con dei mantra interiori che ci costringeranno a sorridere e salutare e dire, con la faccia di bronzo:”Anche tu qui! Ti trovo bene!”, mentre rimpiangiamo di aver lasciato a casa un cuscino adatto al soffocamento.
Bene, e cosa ci diremo per tutta la sera? Da raccontare non c’è moltissimo: se resti in paese, la tua vita è di dominio pubblico, manco fossi Belèn (magari fossi Belèn). Forse è per questo che si beve molto: per superare l’imbarazzo.
No. Io credo che si beva molto perché per una maledetta volta, nella maledetta vita, magri o grassi, ricchi o disoccupati, sposati o single, ci si ritrova tra facce conosciute, tra amici: quelli della classe sono gente che vedi da quando la mamma ti allacciava ancora le scarpe e con cui hai condiviso maestre, bravate, aranci e limoni (mi sembrava brutto scrivere solo limoni). Andare alla classe è una garanzia di divertimento, almeno per qualche ora, almeno per una notte; la situazione ha del tragico, se si contano i dispersi e si pensa che è già il decimo compleanno della festa, ma anche del comico e del romantico, considerando gli aneddoti degli anni passati e i ritorni in autobus mano nella mano con chi non ti aspettavi. La prima volta che sono stata alla classe non era fidanzata con l’Architetto Sexy e così ho flirtato per tutto il tempo con un ragazzo, ma alle quattro di mattina, in viaggio verso casa, mi sono alzata dal mio sedile ed ho cercato lui, mio marito. Era uno straccio, come tutti d’altronde, ma io mi sono seduta lì accanto e forse è stato allora che mi sono chiesta:”Sarà solo un amico?”.
La classe, insomma, è un salutare bagno nel passato che ti fa capire un po’ di più chi sei e dove diavolo stai andando, in un catartico momento di convivialità estrema insieme a qualcuno che non ti rinfaccia la sbronza, il giorno dopo.

Niente da dire: che classe, il 1986.

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