Ovvero: Tanto per esorcizzare
Una volta ho letto un
articolo in cui veniva consigliato di pensare alle cose che ci fanno paura come
terapia.
Sembra che dedicare
dieci minuti al giorno a riflessioni tetre e presentimenti negativi esorcizzi
il timore che questi si realizzino davvero.
Ci sono rimasta secca
(in senso figurato). Voglio dire, da quando ho letto quel maledetto articolo
non faccio altro che pensare alla morte e agli incendi e ai fulmini e agli
annegamenti. Solo che, adesso, mi sento autorizzata, ecco. Non mi vedo
pessimista. Anzi, credo proprio che il metodo funzioni: se hai paura di
qualcosa, pensaci e bella finita. Sviscera ben bene la questione, mi
raccomando, da tutti i punti di vista. Scaduto il tempo, però, via il terrore e
avanti con la vita reale (che è tutto dire).
L’unica
controindicazione è che si finisce per pensare a un triliardo di cose brutte a
cui prima non si faceva nemmeno caso. Avete mai riflettuto veramente su cosa
significhi morire? Cioè, stare lì e
non fare niente, oppure –di più- smettere di esistere. Non riesco a
immaginarmelo. Un giorno che tornavo da scuola, non so com’è, mi ha preso
questa fisima tremenda del cercare di immaginare cosa avrei fatto una volta
morta. Non ne uscivo. Perché non c’era niente da capire, o cercare di capire.
Una volta morta, non farò niente.
La cosa che mi spaventa
di più è la testa. Non riesco a immaginare di non essere presente e viva, con la testa. Mi è già difficile raggiungere uno
stato zen nei giorni in cui sono un po’ in tensione. Figuriamoci se riesco a
stare completamente immobile, senza produrre alcun rumore e, soprattutto, con
la mente vuota. Sarà un vero dramma, quando ci arriveremo.
L’unica speranza che mi
rimane, visto che non sono credente e che quindi non potrò salutare tutti con
un arrivederci nel Regno dei Cieli, è quella di poter essere in qualche modo
raggiunta dal mio pensiero ancora in circolazione –almeno per un po’, finché il
mio blog resterà in rete, finché qualcuno mi leggerà. Sarebbe carino se i
bambini del doposcuola si ricordassero di me fino all’ultimo giorno della loro
vita: avrei altri settant’anni di agio. E se ci fosse una persona che mi vuole
così tanto bene (o così tanto male) da pensare a me con molta, molta intensità,
spero proprio che questa intensità mi pizzichi e mi faccia sentire ancora
qualcosa.
In caso contrario,
fatemi un funerale cattolico –per accontentare mia mamma- e poi andate tutti al
bar e bevete anche per me, rimembrando gli episodi più buffi e più da stordita
della mia esistenza. Voglio musica e vestiti colorati, e non venite a trovarmi
al cimitero. Tanto non me ne accorgo. Non sprecate i fiori. Sono troppo belli.
Bene, detto questo,
rassicuro i miei conoscenti: sono in salute e tutto quanto, tranquilli.
Era solo per
esorcizzare.
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